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Sette proposte per il nostro patrimonio d’arte e il Made in Italy

di Francesco Micheli

(Getty Images)

4' di lettura

Ovunque si guardi, credo non si possa che constatare il forte processo di impoverimento della sfera pubblica, l’immiserimento economico, e ancora più evidente, culturale, mentale, intellettuale. A dimostrarlo c’è la pochezza del dibattito politico e il modo in cui questo si rispecchia nei social. Si vive alla giornata, al ritmo di X (l’ex Twitter) e Facebook-META: entrambi, per chi sappia ancora articolare frasi. Perché TikTok, per i più giovani, vuole il ragionamento trasformato in un rap. È estremamente interessante che il Cardinale Zuppi, ambasciatore per la pace tra la Russia e l’Ucraina, anni luce dal predecessore Ruini, sostenga: «Il divorzio tra cultura e politica, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, dà come risultato una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».

Venendo al punto, alla “cultura dell’impresa”, a mio avviso è il momento di costruire una visione ragionata: un vaste programme, e prendo in prestito Charles de Gaulle, che liquidava programmi e progetti pretenziosi e utopici, richiamandosi ai principi di realtà e realizzabilità. Diffiderei del termine “sostenibile”, molto alla moda, trasformato in un facile passe-partout, di cui sono chiare le buone intenzioni, sia sociali sia ambientali, ma anche il rischio di inconcludenza e green-washing. Preferisco partire dalle basi e guardo alle aziende, con gli uomini e le donne che le mandano avanti, creando un’esperienza umana preziosa, di coordinamento attivo e intellettuale, che fiorisce sulla base di una cultura della condivisione di scopi e procedure. È un valore che dobbiamo impegnarci a far conoscere, chiarendo alla politica che anche questo è un patrimonio culturale solido, da mettere in piazza. Non solo per le aree più tradizionali del brand italiano, dalla moda al vino, ma anche per le straordinarie storie di famiglie e di gruppi che meriterebbero un museo, con documentari e film. Ne contiamo a centinaia - come Lamborghini e Ferrari che infatti sono approdate al grande cinema (americano) - ma anche qui presenti: forti nella tenacia costruttiva, nella intelligenza creativa, organizzativa, nel trasmettere il valore del proprio marchio in tutti i campi, manifattura, servizi, ricerca. Lo stesso vale per l’artigianato, risorsa davvero unica. Ed ecco la mia proposta, la mia formula, detta con molta chiarezza in sette esortazioni.

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1 Innanzitutto dobbiamo lavorare alla proiezione internazionale, con sapienza. Abbiamo tutti i tesori che sappiamo: conosciamo l’inventiva del Brunelleschi per la cupola del Duomo e Ghiberti per le porte del battistero di Firenze - fruibili dentro al museo, grazie ai curatori di Santa Maria del Fiore - ma conosciamo anche l’incredibile maestria delle cantine del Chianti o delle distillerie venete e delle Langhe (dalla Grappa Nonino alla Berta). Anche loro sono un museo rinascimentale.

2 Tra pubblico e privato tanto e tantissimo dobbiamo fare, non solo per catturare il mondo e vendere i nostri prodotti, of course, o per conquistare turisti. Ma anche e direi quasi soprattutto per educare noi stessi, i nostri ragazzi. Musei e aziende istruttive e civilizzatrici devono diventare ambienti formativi, frequentati e vissuti specialmente dai più giovani.

3 Il motto “dobbiamo fare di più” va esteso a teatri, spazi musicali, mostre, architetture aziendali, auditorium delle nostre società. Pensati come luoghi di vita civile, di interazione allegra. Dobbiamo affollare questi luoghi, essere contenti che ci si accalchi in piazza Cordusio o in Galleria, per i selfie come sul Ponte di Rialto.

4 Ma dobbiamo fare in modo che le Gallerie d’Italia o l’Ambrosiana (coi tesori del grande Cartone della Scuola di Atene di Raffaello e la Canestra di frutta di Caravaggio) e il Castello, con capolavori dal San Benedetto di Antonello da Messina alla Pietà Rondanini di Michelangelo, li vogliamo vedere riempiti di scuole, di giovani, con insegnanti e guide. Per approdare alla grande Brera, con l’annessa Biblioteca Nazionale Braidense. Dobbiamo dare forza espansiva a tutte le meravigliose occasioni come queste.

5 Perciò dobbiamo non solo chiedere finanziamenti ma anche mettere mano al portafoglio, per incentivare modelli di intrattenimento diversi, più sociali, più aperti, più capaci di temere solidamente insieme generazioni giovani che hanno davanti enormi difficoltà e rischi: l’ascensore sociale è bloccato da decenni e le porte per loro sono sempre più strette.

6 Ai Comuni chiediamo di pianificare questi spazi.

7 Alle organizzazioni private, laiche e religiose, di entrare in gioco con il volontariato, valorizzando e utilizzando chiese, oratori, ambienti di ogni genere. Esempio, uno per tutti, l’Homo Faber Event a Venezia.

Queste sarebbero le vere sette meraviglie sull’altare della Cultura, nel senso più lato del termine.

Per finire, un riferimento alla musica, dove la “classica” attraversa un periodo difficile, sia per caduta di interesse, conseguenza della cancellazione dello studio musicale nelle scuole (delitto assoluto nel Paese che ha inventato forme, nomi e strumenti), sia perché i giovani non hanno più genitori attenti e sagaci che spieghino loro il valore della cultura, musicale in particolare. Una colpa grave, un vero peccato d’omissione. Una negazione del bello, quello perseguito dal fulgore della Grecia di Pericle del V secolo e poi con l’età d’oro di Atene, quando si toccò l’assoluto delle sculture di Fidia per il Partenone, di Polìcleto e Mirone. Un bello coltivato per 2.500 anni, necessario e imprescindibile, non perdiamone
la memoria.

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