Settimana corta, la promuove un lavoratore italiano su tre
Secondo una ricerca del Randstad Workmonitor su mille dipendenti, il 29% vorrebbe sperimentarla e apprezzerebbe nuove forme di flessibilità. Se ne parlerà anche congresso della Cgil a Rimini
di Cristina Casadei
3' di lettura
La settimana corta piace anche ai lavoratori italiani che vorrebbero sperimentare forme di flessibilità oraria. Se poi si potesse utilizzare la formula della sperimentazione “all’inglese” con il 100% dello stipendio, l’80% dell’orario di lavoro e il 100% dei risultati sarebbe l’ideale. La riduzione dell’orario, però, rappresenta un aspetto sicuramente poco apprezzato dalle imprese, in un paese dove c’è una scarsa abitudine a misurare i risultati e la produttività è un elemento critico. Il tema entrarà nel dibattito del congresso della Cgil che si apre domani a Rimini. Non solo. Nelle ultime settimane, ha acceso il dibattito sindacale nel mondo bancario, dove Intesa Sanpaolo ha deciso di andare avanti nella sperimentazione di un modello di lavoro flessibile, molto articolato, che prevede, tra l’altro la settimana di lavoro su 4 giorni, flessibilità oraria in ingresso e in uscita, e 120 giorni di smart working all’anno, senza limiti mensili. «I risultati delle prime sperimentazioni di una settimana lavorativa di 4 giorni sono interessanti, ma è difficile immaginare oggi i possibili effetti dell’introduzione su larga scala», spiega Valentina Sangiorgi, Chief HR Officer di Randstad.
La ricerca di Randstad
Ma cosa dicono i lavoratori in Italia? Il Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata da Randstad in 34 Paesi del mondo, sentendo 35mila lavoratori, di cui mille dipendenti in Italia ha fatto emergere che ben il 29%, nel nostro paese, preferirebbe la settimana corta. Il quesito è stato posto senza specificare se con riduzione dell’orario, come prevede la formula inglese. Il 9% dei lavoratori, invece, vorrebbe lavorare in orari tradizionali, ma in giorni diversi della normale settimana lavorativa. Il 14% in turni divisi, alla mattina presto e alla sera tardi. Il 6% vorrebbe lavorare di notte. Meno di un lavoratore italiano su due, invece, il 43%, preferisce l’opzione di giorni e orari tradizionali. «Di certo, il Workmonitor rivela che molti italiani sono favorevoli alla possibilità della settimana corta, ma anche che il tema è divisivo, perché le preferenze di orario sono le più diverse. In generale, una nuova modulazione dell’orario di lavoro può produrre benefici per lavoratori e aziende, ma deve tenere in considerazione le esigenze di tutti: di chi ricerca un giorno libero in più, come di chi necessiterebbe piuttosto di una giornata corta, ad esempi per impegni familiari. Al di là delle mode, è importante compiere scelte organizzative in grado di soddisfare i bisogni delle persone», continua Sangiorgi.
Chi vuole la settimana corta
A guardare con maggiore interesse alla settimana corta, sono i lavoratori delle fasce di età centrali: a dire sì sono il 32% delle persone tra i 35 e i 44 anni, il 31% tra i 55 e i 67 anni, il 30% tra i 25 e i 34 anni e il 28% tra i lavoratori di età compresa tra i 45 e i 54 anni. La percentuale più bassa si riscontra tra i giovani compresi tra i 18 e il 24 anni, che vorrebbero lavorare su 4 giorni solo nel 16% dei casi. Distinguendo tra impiegati e operai, a prediligere la settimana corta sono più gli impiegati, favorevoli nel 32% dei casi, rispetto agli operai (15%).
Il fascino della flessibilità
Di certo, la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, l’83%, considera rilevante la flessibilità di orario. Una flessibilità che, in realtà, è già sperimentata in grande parte: il 27% ha visto introdurre forme di flessibilità negli ultimi 12 mesi, dal proprio datore di lavoro, potendo stabilire autonomamente il proprio orario. Il 35% dei lavoratori italiani, infine, considera che un motivo valido per non accettare un'offerta di lavoro sia che questa non offra flessibilità di orario e non permetta di stabilire il proprio orario di lavoro.
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