Seychelles, pesce alla frutta, curry e insalate di palma per chef sempre più local
Nell’arcipelago l’incontro di sapori africani e indiani, insieme a un inconsueto patrimonio di vegetali e di ingredienti (come il pipistrello della frutta) vengono valorizzati anche nelle proposte dei grandi resort
di Fernanda Roggero
3' di lettura
Ferran Adrià, il rivoluzionario cuoco catalano, quando era a Praslin ne è andato matto. Oggi è rarissimo trovarlo - di solito si può gustare solo a casa di amici - ma un tempo era uno dei piatti tipici delle Seychelles. Spoiler: non è una pietanza per stomaci deboli. Non tanto per il gusto, che pare squisitissimo, ma per nostre remore mentali. Si tratta del “Kari Sousouri”: il suo nome creolo, tradotto dagli inglesi in Bat Fruit, in italiano suonerebbe più o meno Pipistrello della Frutta, perché i piccoli mammiferi volanti si nutrono in prevalenza dei frutti dell’albero del pane. La ricetta tradizionale prevede una cottura nel latte di cocco con cipolla, aglio, zenzero e accompagnamento con abbondante curry. In alternativa, una lunga stufatura dopo 24 ore di salamoia con vino rosso e manciate di spezie.
Tranquilli, il Kari Sousuri è l’unico piatto che potrebbe mettervi in difficoltà alle Seychelles, perché la cucina creola locale, succulenta e ricca di aromi, è al contrario molto accogliente. Una cucina povera, nata dalla confluenza delle tradizioni gastronomiche indiane con ingredienti provenienti dalla vicina Africa, non particolarmente piccante, ma di spiccato accento tropicale. Soprattutto grazie alla variopinta molteplicità di frutti: solo di banane, per esempio, esistono 19 varietà.
Qui regna sovrano il cocco, che entra nella preparazione di quasi ogni piatto. Le isole sono ricchissime di pesce e i locali lo gustano in ogni modo, dai semplici barbecue presenti anche nei piccoli mercati, ai curry declinati secondo le diverse tradizioni familiari. Di base si cuoce il pesce - il Job fish simile al branzino, i grandi Carangues tagliati a fette, i barracuda, il Jack fish, analogo al luccio, e il pregiato Red snapper, dentice dei mari caldi - nel latte di cocco con cipolle, curry, limone, pepe, olio, zenzero e timo. Anche la famosa e onnipresente salsa creola è a base di pesce: i filetti vengono fritti nel burro e dopo messi a marinare in una salsa di pomodoro e peperoncino.
Se la cucina locale è piuttosto elementare, i palati più esigenti trovano risposte adeguate nei sofisticati resort dove sono ai fornelli cuochi con esperienze internazionali. Il catalano Jordi Vila guida da anni l’offerta gastronomica delle destinazioni Constance, gruppo che alle Seychelles ha due resort, a Mahé e a Praslin: «Dopo lustri nel fine dining a Londra - racconta - mi sono ritrovato con gioia a cucinare su un atollo sperduto delle Maldive e poi a Praslin. Qui tutti i cuochi si riforniscono a Dubai (che dista cinque ore di volo, nda) ma io cerco il più possibile di utilizzare prodotti locali». Ad esempio la “Caprese” servita al Lemuria, lo spettacolare resort in cui lavora Vila, viene composta con pomodori coltivati nell’isola di Mahé e formaggio autoprodotto: «Abbiamo quattro mucche che ci danno 25 litri di latte al giorno - spiega lo chef -, mangiano cocco e papaya e il loro latte è meno grasso e più aromatico di quello a cui siamo abituati».
Nei grandi alberghi si continuano a servire piatti elaborati che non sfigurerebbero sulle migliori tavole europee, ma la tendenza è sempre più quella di proporre ricette locali: «Se i miei ospiti chiedono caviale devo poterglielo offrire - conferma Vila -, ma trovo che sia mio compito provare a connetterli con la realtà in cui sono immersi. Bisogna essere creativi e utilizzare i prodotti locali con tecniche più raffinate. Usiamo moltissimi frutti tropicali, anche per marinare il pesce, e diamo la nostra interpretazione dei classici curry isolani, in cui non può mancare il latte di cocco».
Oltre al tonno e al polpo, che qui sono di straordinaria qualità, l’altro ingrediente principe della cucina delle Seychelles è il pollo. Ma il piatto più ambito è la cosiddetta “Insalata del Milionario”, un tempo riservata ai più abbienti perché solo loro potevano permettersi di rinunciare a un albero per poterla gustare: è infatti a base del delizioso cuore di palma, che si ricava dalla parte interna del tronco e per estrarlo non c'è altro modo che abbattere la pianta. Ora però si può utilizzare solo quello di palme coltivate allo scopo, quindi si può gustare senza troppi sensi di colpa.
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