in campo anche il congresso usa

Sfida finale contro i giganti hi-tech: Facebook, Google, Amazon e Apple nel mirino

di Marco Valsania

Privacy, i casi 2018 più eclatanti a partire da Cambridge Analytica

4' di lettura

New York - Anche il Congresso degli Stati Uniti vuole intervenire in una nuova campagna antitrust nei confronti delle grandi aziende tecnologiche e di Internet. Accanto alle iniziative considerate delle autorità americane sulla concorrenza, la Commissione Giustizia della Camera ha indicato di aver avviato la propria inchiesta sull’economia e i mercati digitali.

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Sono in programma audizioni e richiesta di consegna di informazioni a numerose aziende. I deputati intendono inoltre esaminare se le attuali leggi e norma antitrust siano adeguate alla sfida del cambiamento tecnologico o richiedano aggiornamenti da parte del Parlamento.

La combinazione di interventi – del Congresso e delle due principali authority antitrust, la Ftc e il Dipartimento della Giustizia, che hanno messo nel mirino anzitutto Facebook e Google di Alphabet – dà conto dell’accresciuta preoccupazione per le posizioni dominanti conquistate dai protagonisti hi-tech e i loro effetti sull’innnovazione, sull’economia e sulla società americane. Preoccupazioni rispecchiate dalle dichiarazioni del presidente della commissione Giustizia della Camera che ha rivelato i nuovi sforzi: «L’Internet aperto ha portato con sè enormi benefici per gli americani – ha affermato Jerrold Nadler – Ma ci sono sempre più prove che una manciata di “guardiani” ha catturato il controllo su arterie essenziali del commercio, del contenuto e delle comunicazioni online».

Di questa realtà il Congresso è divenuto cosciente anche per le maggiori attività di lobby, di pressione, da parte dei protagonisti del settore a Washington. Il comparto Internet, guidato da Google, Facebook e Amazon - ha fatto segnare nuovi record. L’anno scorso, stando ai dato del think tank Center for Responsive Politics, la cifra totale ha raggiunto 77,9 milioni di dollari, rispetto ai soli 16,4 milioni di neppure dieci anni or sono. Alphabet da sola ha investito 21,7 milioni, Amazon 14,4 e Facebook 12,6 milioni. Google e Amazon hanno inoltre finanziato una trentina di centri di ricerca, tanto progressisti quanto conservatori, che intervengono nei dibattiti antitrust e di regolamentazione.

I nuovi sforzi antitrust hanno colpito i titoli del settore, che risentono della prospettiva di giri di vite che ne ostacolino il business. Il Nasdaq, ricco di società tecnologiche e di Internet, è arretrato ieri dell’1,6%, tanto da far sì che la flessione dai recenti massimi sia salita al 10% portando così l’indice in territorio di aperta correzione al ribasso. Facebook ha ceduto il 7,5%; Google ha bruciato il 6,1 per cento. Amazon è scivolata del 4,6% e anche Apple dell’1 per cento. Assieme questi titoli, a fine seduta, hanno visto evaporare 130 miliardi di market cap. La Ftc secondo quanto emerso si prenderebbe in carica eventuali indagini su Facebook e anche Amazon, il Dipartimento della Giustizia avrebbe giurisdizione su Google e anche su Apple.

Gli analisti di D.A. Davidson, in un rapporto preparato anzitutto su Amazon, hanno indicato il «potenziale di regolamentazioni di indagini antitrust a livello globale», che potrebbe frenare piani di espansione dei gruppi. Numerosi governi, hanno aggiunto, «stanno rendendosi conto del pericolo di consentire a pochi giganti tech di avere una tale enorme influenza sulle vite quotidiane dei consumatori, da Amazon a Apple, Facebook e Google, e il potenziale di una scossa nelle regole aumenta di giorno in giorno e va monitorato attentamente».

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Un maggior interventismo delle autorità antitrust non è del tutto imprevisto. La Ftc ha in corso da oltre un anno un’indagine sul mancato rispetto della privacy da parte di Facebook, decollata dal caso di Cambridge Analytica dove dati di utenti erano stati passati irregolarmente ad un societa' assoldata dalla campagna di Donald Trump. Facebook, secondo le previsioni, potrebbe ricevere una super-multa da 5 miliardi di dollari. L’agenzia ha inoltre dato vita nei mesi scorsi a una task force sull'intero comparto Internet e il clima concorrenziale, con particolare focus sulle politiche di acquisizione da parte delle grandi aziende in passato approvate dalle autorità, se hanno danneggiato concorrenza e innovazione. Nel mirino di un riesame sarebbero anzitutto le acquisizioni di WhatsApp e di Instagram da parte di Facebook.

Ma il corso adesso adottato riguarda interrogativi ancora più ampi sull’intero impatto di comportamenti e acquisizioni da parte della nuova generazione di giganti hi-tech. In gioco è un aggiornamento e ampliamento dell’interpretazione delle norme antitrust, in anni recenti ridimensionate spesso a un ristretto esame dell’impatto su prezzi e scelta per i consumatori. Invocando potere e diritto a indagare sul gruppo di Mark Zuckerberg, la Ftc non ha necessariamente indicato l’avvio imminente e ufficiale di una azione; ha fatto però capire che intende tenerlo senza indugi sotto stretta osservazione. Il Dipartimento della Giustizia, da parte sua, sta approntando un’inedita indagine sulle pratiche di Google nel settore informazione e pubblicità, che rappresenta gran parte delle sue entrate, sospettate di abusi di posizione dominante. La stessa Facebook e Amazon stanno marciando alla conquista delle spoglie della pubblicita' digitale. Anche Apple potrebbe non essere immune da preoccupazioni antiturst, considerando il ruolo - se non nell’e-commerce, nei social media e nelle inserzioni online - quantomeno negli smartphone e nelle app.

La discussione, a livello di autorità e accademia, riguarda concetti quali il network effect, leva usata per aumentare il valore di prodotti e servizi sulla base del numero degli utenti permettendo ai giganti di ottenere e difendere posizioni di monopolio e bloccare l’ingresso di concorrenti. I re del tech sono anche sospettati di collusione per mantenere bassi i salari e la mobilità di molti dipendenti.
La questione del prezzo dei servizi digitali, secondo critici che trovano crescente eco, va ripensata in termini innovativi. La posizione dominante dei colossi di nuova generazione è costruita su un inconscio “patto faustiano” con i consumatori: i primi ricevono servizi sovente o in parte gratuiti, “pagati” però con l’offerta dei propri dati alle società, che poi li rivendono per lauti profitti. C’è chi suggerisce che in un mercato davvero funzionante i consumatori verrebbero ricompensati ben di più, letteralmente oppure sono forma di maggiori protezioni e privacy, per i loro dati e quindi che il “prezzo” dei servizi sarebbe inferiore. La privacy è insomma un costo non-monetario addebitato agli utenti che troverebbe soluzioni con una maggior concorrenza.

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