fashion week

Sfilare a Parigi: è tutto un nuovo film, con sempre meno show

Dalla passerella tradizionale di Yamamoto al video-schizzo perfetto di Nina Ricci, dal mega poster di Loewe al percorso fotografico di Schiaparelli

di Angelo Flaccavento

5' di lettura

La nuova normalità immobile, distanziata e sempre a rischio di infezione durerà, così sembra, più del previsto. Sono condizioni estreme ed eccezionali, terribili quanto, per assurdo, stimolanti. Agire come nulla fosse - e nella moda in molti si ostinano a farlo - è una scelta ottusa e rinunciataria. Se c'è un momento buono per sperimentare, osare e al limite dar davvero di matto, è proprio questo.

La fashion week parigina attualmente in corso - un calendario inutilmente infinito, visto che i ¾ degli eventi sono virtuali - è un misto di tutto, in termini di modalità di presentazione - la moda, intesa come contenuto creativo, a questo giro è quella che è, e va bene così. Si va dallo show tradizionale - Yohji Yamamoto, ad esempio, poetico e sempre toccante nell'immobilismo assoluto del nero totale, della decostruzione lirica e della camminata mesta e pensosa sulla passerella - al video-schizzo - perfetto quello di Nina Ricci, ricapitolazione in tre minuti dell'intero il processo creativo, condotto in toto attraverso lo smartphone - al progetto interattivo.

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Da Loewe, l'immaginifico Jonathan Anderson concepisce uno Show On The Wall, somma di azioni che coinvolgono lo spettatore in modo concreto, fisico ed emozionale, avvicinandolo e attivandolo in maniere impossibili attraverso lo schermo, e se si vuole anche attraverso lo show tradizionale. Vettore di tutto è un enorme portfolio, recapitato a casa degli “invitati” e contenente giganteschi poster che raffigurano i look in scala 1:1, insieme a un rotolo di carta da parati disegnata dall'artista Anthea Hamilton e tutti gli strumenti - colla, forbici, bordi - per installarla sul muro. L'idea è che lo spettatore assembli i materiali come vuole sulla prima superficie disponibile, ma anche solo dispiegare e sfogliare i poster è già un godimento. «Supremamente inutile - trilla qualche moralista -; uno spreco assoluto di denaro» aggiungono altri, trascurando quanto costosa sia una sfilata, la cui durata massima sono quindici minuti e poi via, tutto sparito - YouTube a parte, a futura memoria. Il portfolio, invece, è un oggetto che rimarrà con chi lo ha ricevuto, testimonianza del momento e alta espressione di invenzione. Senza dimenticare che, pur nel rutilare dei poster e delle pose, è la moda a parlare, e quella di Loewe, estrema nei volumi barocchi, nei giochi di nodi e drappeggi, suprema nella artigianalitá delle reti di pelle intrecciata e degli intarsi di materie, è una magnifica reazione, pazza ed escapista, al bigiume che incombe. Se proprio ci dobbiamo estinguere, che sia dando libero sfogo alla fantasia. Ma con le scarpe da ginnastica ai piedi, per correre più lesti ove fosse necessario. Il video è lo strumento del momento, e funziona non tanto quando riprende una sfilata senza pubblico, ma quando offre angoli di lettura inattesi sulle collezioni, meglio se processuali.

Loewe e l'alta artigianalità delle reti di pelle intrecciata

É il caso del lookbook animato di Y-Project, perfetta esplicazione della qualitá plastica e multifunzionale degli abiti che Glenn Martens disegna per il marchio, così come del backstage di Lutz, nel quale il legame emotivo tra il designer e le modelle esalta la profonda umanità della moda, carica di un glamour sbrecciato e terragno. La shooting casalingo di Vivienne Westwood è una celebrazione di eccentricità inglese e di follia come salvezza in tempi di crisi. Da Schiaparelli, il film è un piccolo sketch che sutura in un montaggio serrato tutto il percorso, dal disegno alla realizzazione alla creazione delle immagini fotografiche. È la prova più convincente, fino ad ora, del direttore creativo Daniel Roseberry: un concentrato di tailoring fluido e drappeggi sensuali, con la surrealtà estrema spostata tutta sugli accessori.

Nel clima di emergenza sanitaria, anche Balenciaga, la maison di maestosi megashow che atterriscono e fanno pensare, opta per il mezzo filmico, che è un ibrido accattivante di sfilata e videoclip, con tanto di protagonisti nascosti dietro sinistri occhiali da sole che ogni tot tentano il lip-synch con il motivetto di accompagnamento, non a caso intitolato “Sunglasses at night”. In una Parigi vuota e notturna, la gang di Balenciaga cammina per strada: ciascuno per i fatti suoi, tutti spediti e minacciosi, convergono in fine verso una location sotterranea. Il breve documento scritto che accompagna il video specifica trattarsi di una precollezione. Se dal punto di vista stilistico le forme ibride, oversize e crude sono familiari, nuovo è il focus sulla sostenibilità.

Persino l'unisex punta in questo senso, perché annulla le differenze del ciclo produttivo. Satoshi Kondo, da Issey Miyake, immagina una intera collezione di abiti che possono essere impacchettati e trasportati facilmente ovunque: ripiegati a spirale, accartocciati, smontati attraverso zip, resi tutt'uno con il bagaglio. É un detour insieme pieno di fantasia e di pragmatismo, amplificato in un film energetico e informativo, con un tocco di gentilezza decisamente giap.

Thom Browne crea proprio un film: un po' Hunger Games, un po' Orizzonti di Gloria, è la storia di una olimpiade del 2132, ambientata sulla luna. Contesto surreale per abiti candidi, nivei e irridentemente assurdi come da copione, con lui e lei vestiti nelle stesse gonne a sacco, giacchette risicate e piccoli soprabiti. Nel mondo stilistico di Thom Browne nulla mai si muove, gli scarti sono sempre millimetrici, ma la perizia certosina dell'esecuzione lascia ammirati.

La regia della sfilata di Hermès trasporta il coinvolgimento dello show fisico nell'esperienza in remoto vissuta attraverso lo schermo, e funziona. La collezione è pervasa da un gioco di vedo-non-vedo, da un occhieggiare liberatorio e sensuale - al limite, morbidamente erotico - di pelle attraverso aperture, oblò, sovrapposizioni di bretelle, che è carattere definente degli abiti così come della messa in scena, con il plotone delle modelle che si muove fluidamente tra le colonne brutaliste del Tennis Club. Il direttore creativo Nadège Vanhee-Cybulski scrive a mano, nel piccolo quaderno fatto recapitare agli ospiti - l'appendice postale degli show in remoto è una aggiunta amabile e profondamente umana - recommencer, ovvero ricominciare. La prova, ridotta all'essenziale di linee che esaltano materie preziose, ha un che di nuovo inizio. Si avverte una leggerezza inattesa, un senso di libertà, seppure arginati dentro i confini di una ricetta, quella di Hermès, che è per sua natura senza tempo, lontana dalla moda con la M maiuscola. In questo senso Vanhee-Cybulski è coerente e rispettosa, ma anche un po' frenata, e il risultato è una intrigante tensione.

Da Paco Rabanne l'ethos sperimentale incontra un guardaroba pensato per la vita quotidiana e il risultato, accompagnato solo dal risuonare dei passi sul suolo, è leggermente scombussolante, fuori registro. É perfettamente in registro, tagliente e futurista, rigido con concessioni sensuali, in fine, il debutto di Matthew Williams da Givenchy: una visione urbana e sporca, da mettere ulteriormente a fuoco, di una maison essenzialmente parigina. I tempi cambiano.

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