Corte Costituzionale

Sì al 41-bis anche per gli internati nelle case-lavoro a condizione che possano lavorare

Le restrizioni possono essere applicate anche dopo il carcere, ma nel rispetto dei principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa

di Patrizia Maciocchi

2' di lettura

Le speciali restrizioni previste dall’articolo 41-bis, possono essere applicate anche agli internati assegnati ad una casa lavoro, dopo l’espiazione della pena in carcere, perché socialmente pericolosi. Tuttavia la sospensione delle regole previste per i detenuti ordinari e l’irrigidimento del 41-bis non può spingersi al punto da impedire lo svolgimento di un’attività lavorativa. Una garanzia che non può essere negata pena il mancato rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e di finalità rieducativa. La Corte costituzionale, con la sentenza 195 (Redattore Nicolò Zanon) dichiara non fondate «nei sensi di cui in motivazione», le censure sollevate dalla Corte di cassazione, come giudice remittente, in merito all’applicazione del 41-bis agli internati. Secondo la Suprema corte la sottoposizione al regime differenziale sia per i detenuti in carcere sia per gli internati, si tradurrebbe in un’indebita equiparazione tra pena e misura di sicurezza che devono invece restare distinte. Diversamente sarebbero violati i principi costituzionali e dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo sulla legalità della pena. Ad avviso dei giudici di legittimità si mancherebbe l’obiettivo di rieducazione la misura finirebbe per trasformarsi in una “pena” di durata potenzialmente infinita.

La lettura in linea con la Carta

Il giudice delle leggi fornisce invece una lettura diversa della disciplina censurata. Il regime differenziale può, infatti, e deve modellarsi sulla fisionomia della misura di sicurezza analizzata. Va dunque sfruttato ogni spazio di manovra per garantire all’internato la possibilità effettiva di svolgere un’attività lavorativa, in vista dell’obiettivo della risocializzazione.

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L’articolo 41-bis per essere in linea con la Carta, va interpretato nel senso di consentire l’applicazione nei confronti degli internati delle sole restrizioni proporzionate e congrue alla condizione del soggetto cui il regime differenziale di volta in volta si riferisce: «trattandosi - si legge nella sentenza - di un internato assegnato ad una casa di lavoro, le restrizioni derivanti dalla sua soggezione all’articolo 41 bis ordinamento penitenziario devono adattarsi, nei limiti del possibile, alla necessità di organizzare un programma di lavoro, e, a sua volta, l’organizzazione del lavoro deve adattarsi alle restrizioni (quelle necessarie) della socialità e della possibilità di movimento nella struttura. Ad esempio, devono essere identificate attività professionali compatibili con gli effettivi spazi di socialità e mobilità a disposizione degli internati soggetti al regime differenziale, modulando opportunamente l’applicazione a costoro della limitazione della permanenza all’aperto disposta dalla lettera f) del comma 2-quater del citato articolo 41 bis».
In definitiva agli internati in regime differenziale resta precluso l’accesso alla semilibertà e alle licenze sperimentali, non potendo uscire dalla struttura in cui sono collocati, ma, quanto alla socialità e ai movimenti intra moenia, deve essere loro garantita la possibilità di lavorare.

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