Si apre il tavolo per Roma con Calenda e Raggi: i dossier e i nodi
di Manuela Perrone
4' di lettura
Dopo settimane di scontri, polemiche, riavvicinamenti e incontri preparatori tecnici, si apre ufficialmente oggi alle 14.30 al ministero dello Sviluppo economico il tavolo per Roma. Un vertice istituzionale volto a rilanciare la città e a frenare l’emorragia di attività produttive, che vedrà riunite tutte le parti in causa: il ministro Carlo Calenda, la sindaca Virginia Raggi, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, Unindustria e i sindacati confederali. Impresa non facile: è di fatto la prima volta che si tenta di organizzare un asse comune per un progetto di ampio respiro tra il governo a trazione Pd e la giunta targata M5S. Le diffidenze reciproche sono altissime, il terreno è minato. Con i Cinque Stelle che giocano in difesa, temendo una sorta di commissariamento mascherato. E con Calenda che domenica in Tv ha alzato di nuovo il tiro invitando i pentastellati a «non presentarsi con la lista della spesa».
Il punto di partenza: le crisi industriali
Il primo campanello d’allarme, per Roma, è suonato lo scorso dicembre, quando Almaviva annunciò la chiusura del call center nella Capitale e il licenziamento di 1.666 persone. La prima di una lunga serie di crisi industriali, a cui sono seguite Alitalia (con la bocciatura del referendum e l’avvio del commissariamento si è materializzato lo spettro di 2mila esuberi, più mille nell’indotto), Sky, con lo spostamento della sede del Tg a Milano e 120 esuberi, Ericcson, con centinaia di lavoratori a rischio. E ancora AciInformatica, Exxon Mobil, Mediamarket (Gruppo MediaWorld e Saturn: elettrodomestici, informatica e telefonia), Carrefour. Crisi endogene ed esogene, che in ogni caso impattano sul tessuto produttivo della Capitale, impoverendolo.
La reazione di Raggi: FabbricaRoma
La giunta Raggi ha provato a reagire cercando una sponda tra i sindacati: a giugno è stato siglato un patto con i confederali per un progetto pluriennale condiviso che permetta a Roma di «rilanciare la vocazione produttiva di beni e di saperi della città, le infrastrutture materiali e immateriali che la sostengono e per rinnovare profondamente il sistema di coesione sociale». Una specie di chiamata alle armi delle parti sociali. Già in quell’accordo, però, si ricordava «la difficilissima situazione finanziaria imposta dal debito del Comune di Roma e dal piano di rientro» e si riconosceva che «isolamento istituzionale» e «conflitto permanente» sono strategie perdenti. Ammettendo che i veri interlocutori fossero Governo e Regione, gli unici capaci di stanziare risorse fresche per convincere le aziende a restare. È a loro che Campidoglio e sindacati tenteranno di offrire «un progetto partecipativo di rilancio della città», premendo al contempo per la rinegoziazione del debito monstre da 12 miliardi e del piano di rientro, nonché una sinergia «per trasformare Tpl-Rifiuti-Welfare locale-Turismo e Cultura in motori dello sviluppo economico e occupazionale della città».
La contromossa di Calenda: il dossier Mise
Mentre FabbricaRoma muoveva lentamente i primi passi, a fine settembre è arrivata a sorpresa la mossa del Mise, che ha sfornato una radiografia della crisi romana di 44 pagine - censendo ben 58 crisi tra Roma e Provincia con oltre 23mila lavoratori coinvolti - con il disegno di un “piano strategico” per salvare Roma usando 2,6 miliardi già disponibili tra fondi regionali, statali ed europei: 270 milioni per sviluppo economico e la competitività delle imprese (innovazione, industria 4.0, accesso al credito, occupazione); un miliardo per nuove infrastrutture (tra cui la banda larga) e trasporto pubblico; 117 milioni per ambiente e lotta all’inquinamento; 530 milioni messi a disposizione dalla Regione per la nuova sanità; 257 milioni di euro per la scuola, la formazione e la conoscenza. Materiale inoltrato alla sindaca e alla Regione: Calenda ha giocato la sua carta.
L’idea del tavolo e le riunioni preparatorie
È così che è maturata l’idea del tavolo, sulla quale all’inizio le resistenze del Campidoglio sono state evidenti, con la coda nota di polemiche e frecciate: la sindaca che non rispondeva al telefono, l’sms inviato a Calenda, le lettere con la richiesta di «più poteri per Roma» e l’ira del ministro. Fino alle prove di disgelo, con la fissazione della data del 17 ottobre e il via alle danze degli incontri tecnici propedeutici. Ogni delegazione è “sfilata” al Mise portando le sue proposte: il ministero le ha “mappate” e oggi si partirà da questo lavoro di sintesi, cercando una quadra.
Dal Campidoglio progetti per 300 milioni
La giunta Raggi, come anticipato sul Sole 24 Ore del 10 ottobre, ha prima messo a punto un “documento di programmazione strategica” ampio, del valore di circa 500 milioni. Poi, su sollecitazione del ministero, ha ristretto il campo ai settori di stretta pertinenza del Mise: una serie di progetti da 300 milioni l’anno per almeno un triennio, concentrati sui sei driver indicati dallo Sviluppo economico (competitività, politiche energetiche, servizi, mobilità, turismo e riqualificazione urbana). Si va da reti, banda larga e wifi alla nuova flotta di bus elettrici, dalla riqualificazione delle periferie alla ristrutturazione di immobili pubblici per farne incubatori d’impresa, fino alla smart city. Resta l’incognita di quanto il dicastero sia disposto a cofinanziare: una richiesta per la quale il Campidoglio vorrebbe risposte immediate, anche per concludere entro la fine della legislatura.
Le richieste delle imprese: sicurezza e rigenerazione economica
Sul tavolo è approdato anche il programma di Unindustria, basato su due pilastri: da un lato la rigenerazione urbana, basata sul miglioramento della pulizia della città e della gestione dei rifiuti, ma anche sull’aumento della sicurezza; dall’altro lato un piano di rigenerazione economica, che si fondi su innovazione, digitalizzazione, investimenti in cultura e collegamento più stretto con il mondo dell’accademia e della formazione. Il presidente di Unindustria, Filippo Tortoriello, è convinto che il tavolo sia un’occasione da non perdere: «Ogni partecipante si deve assumere le proprie responsabilità al di fuori di logiche politiche o ancor peggio partitiche. La posta in palio è troppo alta per poterci permettere che tali comportamenti possano far saltare un incontro così importante per il rilancio della città, che è la Capitale del nostro Paese».
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