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Sì al private equity e stadi di proprietà: la ricetta di Gino Pozzo per la Serie A

La Premier League raccoglie 6 miliardi di euro di diritti tv, la Serie A appena 2. È un divario che si può colmare, dice il patron dell’Udinese

di Simone Filippetti

Gino Pozzo, presidente dell’Udinese (Afp)

3' di lettura

«La Serie A è l'unico campionato che può davvero rivaleggiare con la Premier League»: l'assertiva frase di Gino Pozzo echeggia tra gli stemmi e le armature antiche dentro la Armour's Hall, nel cuore della City di Londra, in un palazzo del 1300, un tempo sede della gilda degli armaioli, e oggi accerchiato dai grattacieli della finanza, di fronte a una platea un po' scettica. E proprio la finanza, nella declinazione dei fondi di investimento, è quello che serve al calcio italiano per risanarsi e fare il gran salto dimensionale.

Quella dell'imprenditore italiano, la cui famiglia è proprietaria del club Udinese e del Watford nel Regno Unito, sembra più una provocazione, o un auspicio, nel paese che ha trasformato il calcio nella sua principale industria: la potente e vincente Premier League raccoglie 6 miliardi di euro di diritti tv, la Serie A appena 2 con i club sommersi dai debiti. Un divario oggettivamente incolmabile: «È solo un problema di commercializzazione – puntualizza Pozzo -. La Premier è più ricca perché incassa di più dalla vendita dei diritti all'estero, non tanto sul mercato domestico», insiste nel suo teorema, invitato a parlare dell'industria del calcio dal Business Club Italia di Londra.

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Primo punto debole: i diritti tv

I diritti tv, oggi principale fonte di introiti per qualsiasi club, in Italia «sono ancora gestiti in modo non professionale. Non esiste una delega commerciale e gestionale dentro la Lega», argomenta Pozzo, lamentando la lentezza e la farraginosità della federazione dei club: «Oggi tutte le decisioni sono prese solo in assemblea o in consiglio, dove si devono riunire tutti i presidenti». È un modello che non funziona. Ma una Lega di calcio più “industriale” e meno “politica” può esistere solo se entrano degli investitori di professione che “ingegnerizzano” il calcio e lo gestiscono come un'industria: cosa non facile perché «l'Italia premia l'immobilismo e non l'iniziativa».

Dimostrazione vivente di una terza via nel mondo del calcio, tra il modello tradizionale e ormai sempre più obsoleto del presidente patron, legato alla squadra del cuore, più mecenate che imprenditore, e quello iper-finanziario dei fondi, più speculativi che sportivi, la famiglia Pozzo si è inventata un ruolo di nicchia nel calcio: Udinese e Watford fanno da cantera, scoprono talenti, li allevano, e poi li rivendono ai grandi club che non hanno tempo e spazi per “crescere” i campioni. Non è sempre stato così: quando la famiglia rilevò l'Udinese dal fallimento nel 1986, era ancora «il calcio tradizionale del presidente-tifoso locale. Con quel modello vedevamo crescere i ricavi, ma anche le perdite. Non stava in piedi». Il modello cantera, invece, ha portato la famiglia Pozzo, unica in Europa, a possedere 3 club nei tre principali campionai in Europa: Premier, Liga (col Granada, poi ceduto al cinese Jiang Lizhang nel 2016), per poter «far giocare e crescere tutto il parco giocatori che avevamo».

Secondo punto debole: gli stadi

Per una Serie A al livello Premier, l'altro grande tema sono gli stadi: «L'Italia ha un grosso deficit di infrastrutture». Caso unico in Italia, assieme alla Juventus, di club con stadio di proprietà, la Dacia Arena è stato frutto di una trattativa estenuante con il Comune di Udine, che alla fine non ha comunque venduto l'immobile ma concesso un contratto di 99 anni. Alla Serie A servirebbero subito almeno 5-6 stadi moderni, pensati per la tv e i diritti, dal Napoli capolista e mattatore in Europa, a San Siro e Roma. «Nel Regno Unito abbiamo impiegato 6 mesi per il permesso a costruire una tribuna»: in Italia la pur efficiente Milano da anni è impantanata nel progetto del nuovo stadio per Inter e Milan. Al di là delle lungaggini burocratiche, per le infrastrutture di cui l'Italia ha bisogno servirebbero anche molti capitali. «Gli stadi si ripagano da soli», spiega Pozzo, ex studente di Harvard che vede con favore l'arrivo dei fondi nella Serie A: «Gli americani capiscono poco di calcio, ma molto di business. Il loro arrivo non deve spaventare perché questi investimenti sparsi per il paese hanno ricadute locali sul territorio, sono un beneficio per l'Italia».

«Il calcio è meritocrazia»

Lui i fondi americani nel capitale non li ha fatti entrare, ma all'America ha comunque guardato: c'era un progetto di quotazione a Wall Street tramite una Spac ma al momento è ferma. Accantonata l'idea Spac, il tema oggi per tutti i club è come monetizzare meglio il “contenuto calcio”. «Il calcio è meritocrazia», chiosa Pozzo e lancia una frecciatina verso la Super Lega, il controverso progetto di Andrea Agnelli. «Il bello di questo sport è l'imprevedibilità». E anche se non lo dice, il riferimento è alla sua Udinese: a oggi i bianconeri del Friuli sono qualificati per la Champions League del 2023, mentre i più famosi, e più ricchi, bianconeri di Torino sono fuori. Ma con la Super Lega sarebbe il contrario.

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