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Si produce troppo vino, dai prodotti dealcolati una possibile via d’uscita

Giacenze in crescita del 5,1% per oltre 60 milioni di ettolitri. Unione Italiana vini: serve cambiare le norme sui prodotti senza alcol e sotto gli 8 gradi

di Giorgio dell'Orefice

 In Italia il settore vitivinicolo vale oltre 30 miliardi di euro, ha 900mila addetti e conta 680mila ettari di vigneti

3' di lettura

In Europa c’è tanto vino, forse troppo. La produzione supera costantemente i consumi, le giacenze aumentano mettendo a rischio la tenuta dei listini all’ingrosso. La soluzione ci sarebbe ed è quella dei vini dealcolati o dealcolizzati, sempre più richiesti dai mercati internazionali. Un’opzione che Bruxelles ha introdotto nella Ue con il regolamento 2021 del 2017 ma che resta invece vietata in Italia dalle norme previste dal Testo Unico del vino varato appena un anno prima, nel 2016. Ma andiamo con ordine.

Il surplus produttivo di vino nella Ue viene di anno in anno fronteggiato con strumenti emergenziali come la distillazione di crisi: qualche milione di ettolitri di vino viene avviato alla distillazione per produrre alcol diretto a molteplici usi. Nel corso della pandemia, ad esempio, questa produzione di alcol “emergenziale” tornò utile per produrre disinfettanti quando questi, di fronte a un’improvvisa impennata della domanda, cominciarono a scarseggiare.

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Il ricorso alla distillazione di crisi è tornato in forze quest’anno. La Francia ha già chiesto di eliminare 2,5 milioni di ettolitri di vino (pari a circa il 5% della propria produzione), la Spagna invece 3 milioni (circa il 10% dell’offerta spagnola).
In Italia richieste analoghe non sono state ancora formalizzate anche se sembra che l’ipotesi sia allo studio in almeno tre regioni: Abruzzo, Puglia e Lazio.

Di fatto in Italia le giacenze a marzo scorso sono cresciute del 5,1% rispetto al 2022 toccando quota 60 milioni di ettolitri. È come se l’Italia (che in media ogni anno produce circa 50 milioni di ettolitri) avesse un’intera vendemmia di riserva già stoccata in cantina.

A questo scenario va aggiunto che se, da un lato, il vino italiano macina record di fatturato nelle esportazioni, dall’altro, tali risultati sono legati soprattutto alla valorizzazione del prodotto, ai prezzi più elevati riconosciuti ai vini italiani visto che le quantità spedite sono invece stabili da tempo se non in calo.

E una dinamica analoga si è registrata lo scorso anno anche sul mercato interno e in particolare sugli scaffali della grande distribuzione dove le vendite di vino a fronte di una crescita nei valori (trainate dalle positive performance degli spumanti) sono calate invece in quantità a causa delle difficoltà registrate dai vini fermi con in prima fila quelli a denominazione d’origine.

La via d’uscita a questa situazione potrebbe quindi essere rappresentata dai vini dealcolati o dealcolizzati, ovvero vini ai quali viene sottratto (anche solo parzialmente) alcol mediante tecnologie che spaziano dall’evaporazione al ricorso a sistemi a membrana. Si tratta di modalità che non danno luogo a difetti da un punto di vista organolettico per il vino. Per giunta si tratta di prodotti la cui domanda è in crescita, in particolare, sui mercati internazionali e da parte delle giovani generazioni. Il consumo di alcol pro capite nell’ultimo decennio ha registrato un calo medio annuo del 3,2% in Italia, dell’1,8% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia dell’1% in Germania.

Negli Stati Uniti nell’ultimo biennio le vendite dei vini con gradazione inferiore ai 10% sono aumentate del 25% mentre quelli del tutto senz’alcol sono cresciute del 65%. Secondo una recente stima dell’Iwsr il segmento dei vini dealcolati che ad oggi vale il 3,5% dei volumi delle bevande alcoliche consumate è destinato a crescere nei prossimi anni al ritmo dell’8% l’anno.

Una prospettiva quindi importante per i produttori ma che in Italia è impedita dalla legge. Il cosiddetto Testo Unico del vino (legge 268/2016) infatti continua a prevedere un titolo alcolometrico minimo di 8 gradi alcol, perché una bevanda a base di uva possa chiamarsi vino.

«In questo quadro – spiega il segretario generale dell’Unione italiana vini, Paolo Castelletti – non sappiamo, nel caso in cui una cantina dovesse cominciare a produrre vini dealcolati, se possa essere sanzionata dalle autorità in base alla legge italiana che vieta che il vino possa avere meno di 8 gradi. Se non rimuoviamo gli ostacoli normativi rischiamo di determinare uno svantaggio competitivo alle nostre aziende. Noi abbiamo suggerito di provvedere con un emendamento del Governo al Testo Unico sul vino magari inserito nel decreto Semplificazioni. Va ricordato che anche nel caso in cui l’Italia dovesse rinunciare a produrre vini dealcolizzati, lo faranno gli altri. Siamo a conoscenza di multinazionali delle bevande che vanno in giro per il mondo ad acquistare uve o vini da dealcolizzare. Attivare questa opzione in Italia non impatterebbe sulla produzione tradizionale di vino, anzi aprirebbe uno sbocco di mercato alternativo garantendo una leva di sostenibilità per una filiera che in Italia vale oltre 30 miliardi di euro 900mila addetti e conta 680mila ettari di vigneti che sono una componente fondamentale del tanto decantato paesaggio rurale italiano».

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