Recovery: ecco la nuova bozza inviata ai ministri. Dopo il sì, la possibile crisi di governo
Renzi minaccia di ritirare le ministre subito dopo il Cdm di martedì. Pd (e Quirinale) in campo per arrivare al nuovo governo senza traumi
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(articolo aggiornato l’11 gennaio 2021 alle ore 23,04)
L’unica cosa che appare chiara è che i tempi di attesa per la soluzione di questa anomala crisi politica si stanno stringendo. Sui temi, certo (Matteo Renzi continua a rilanciare su alcune questioni divisive come il Mes sanitario inviso al M5s), ma anche e soprattutto sul non detto. Ossia la ri-composizione della squadra di governo e la strada per arrivarci.
Martedì il via libera al Recovery plan anche con il sì di Italia Viva
Nella serata dell’11 gennaio - si legge in una nota della presidenza del Consiglio - è stata inviata a tutti i ministri, come da impegni assunti nel corso dell'ultimo incontro, la nuova bozza del Recovery Plan, rielaborata all'esito del confronto con le forze di maggioranza sulla base delle varie osservazioni critiche da queste formulate.
Il Consiglio dei Ministri per l’approvazione della bozza del Recovery plan da presentare a Bruxelles per ottenere i circa 200 miliardi tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto destinati all’Italia è fissato martedì 12 gennaio alle ore 21.30. Tra le novità, spicca il raddoppio da 9 a 18 miliardi della dotazione per la sanità, come ha anticipato il ministro Speranza. Le risorse previste dal piano per il rilancio e la resilienza ammontano a 222 miliardi di cui 144,2 per nuovi interventi. Ma la cifra indicata in fondo alle tabelle delle risorse mobilitate arriva a quota 310 miliardi considerando anche la programmazione di bilancio per il quinquennio 2021-26. È quanto riporta una delle tabelle collegate al piano Recovery.
Il Governo non indica la governance: farà una proposta alle Camere
La definizione della governance del Pnrr viene rinviata. «Il Governo, sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del Piano, - si legge nel testo che arriverà martedì 12 gennaio in consiglio dei ministri - presenterà al Parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del Piano, garantisca il coordinamento con i Ministri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, monitori i progressi di avanzamento della spesa». Si tratta dell’unico riferimento alla questione contenuto nel Piano.
Le risorse per la salute sfiorano i 20 miliardi
Il piano Nazionale di Ripresa e Resilienza messo a punto dal governo prevede per il settore sanitario quasi 20 miliardi di risorse mentre il primo capitolo rimane quello della rivoluzione verde e transizione ecologica con 68,9 miliardi. È quanto riporta la tabella di sintesi allegata al piano, con i sei macro capitoli di intervento. In particolare sono previsti 46,18 miliardi per la digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 68,9 miliardi per la Rivoluzione Verde e Transizione ecologica, 31,98 miliardi per le infrastrutture per una mobilità sostenibile, 28,46 miliardi per l’istruzione e la ricerca; 21,28 miliardi per l’inclusione e la coesione, 19,72 milairdi per la salute. In totale 222,9 miliardi.
Salgono risorse per istruzione e digitale
Più fondi per istruzione e digitalizzazione, ma anche per l'agricoltura. Salgono le risorse appostate su due dei principali macro capitoli del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, anche rispetto alle indicazioni che erano state fornite giovedì scorso nel documento di confronto con i partiti. In particolare le risorse per il capitolo istruzione e ricerca salgono da 27,91 a 28,49 miliardi e quelle per la digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura da 45,86 a 46,18 miliardi.
Il Pnrr verrà accompagnato da una serie di riforme per “rafforzare l'ambiente imprenditoriale, ridurre gli oneri burocratici e rimuovere i vincoli che hanno rallentato gli investimenti”. E' quanto si legge nel Piano nazionale che cita la riforma della concorrenza, della giustizia, del mercato del lavoro e del fisco, in particolare dell'Irpef. L'obiettivo è “la riduzione delle aliquote effettive sui redditi da lavoro, dipendente ed autonomo, in particolare per i contribuenti con reddito basso e medio-basso, in modo da aumentare il tasso di occupazione, ridurre il lavoro sommerso e incentivare l'occupazione delle donne e dei giovani”.
«Abbiamo consegnato al Presidente Giuseppe Conte la nuova bozza del #RecoveryPlan. In oltre 170 pagine sono esposte le strategie, i progetti, le risorse per far ripartire l'Italia. Ora nel Governo, in Parlamento e nel Paese si apre la fase di analisi, miglioramento, decisione» ha scritto lunedì 11 gennaio sera il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri sui social.
Renzi ha già fatto sapere che in ogni caso non si metterà di traverso all’approvazione in Cdm: il testo andrà poi in Parlamento che potrà emendarlo. Così come ha assicurato di dare il suo apporto in Parlamento sul decreto per lo scostamento dal deficit (altri 25 miliardi) e sul nuovo decreto ristori. «Nessuno - è il ragionamento dell’ex premier - potrà accusarci di voler bloccare il Piano da mandare a Bruxelles o di non voler dare le compensazioni economiche ai lavoratori e agli imprenditori in sofferenza a causa delle chiusure dettate dall’emergenza sanitaria».
Catalfo: «Sono soddisfatta, ci sono più fondi per il lavoro»
Soddisfazione anche da parte della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo: «È stata accolta la mia richiesta di destinare più fondi alle politiche del lavoro. Ci sono 7,1 miliardi di euro: 3,1 per le politiche attive, 3 per la realizzazione del Piano nazionale per le nuove competenze, 600 milioni per l'apprendistato duale e 400 milioni per il sostegno all’imprenditoria femminile. Oltre a questo -prosegue-, ci sono anche circa 4,5 miliardi per il finanziamento della fiscalità di vantaggio per il Sud e per le nuove assunzioni di giovani e donne».
La minaccia renziana: ritiro della delegazione subito dopo il Cdm
Quello che ancora non è chiaro, e che andrà deciso appunto nelle prossime 48 ore, è che cosa accadrà subito dopo il via libera al Recovery plan in Cdm. Se nel frattempo non si trovasse la quadra, la minaccia del ritiro della delegazione di Italia Viva dal governo si tradurrebbe in fatto reale. Ma davvero Renzi arriverà a tanto, rischiando per altro di perdersi un pezzo dei gruppi parlamentari per strada? E davvero il premier Giuseppe Conte rischierà fino al quel punto, esponendosi a una conta in Aula che comunque non lo terrebbe in vita? Dal Colle è stato infatti informalmente chiarito che in caso di sfiducia in Senato Conte non potrebbe avere il reincarico per la formazione di un nuovo governo da lui guidato, ma anche una “vittoria” grazie a qualche voto sparso di senatori “raccogliticci” non costituirebbe lo stesso agli occhi del Capo dello Stato Sergio Mattarella la base per la formazione di un nuovo governo politicamente coerente.
L’apertura di Conte sui temi posti da Renzi...
Qui occorre fare un piccolo passo indietro: nei giorni scorsi da parte di Conte sono giunte tramite i “pontieri” (primo tra tutti Goffredo Bettini, consigliere politico del segretario del Pd Nicola Zingaretti) numerose aperture ai temi posti da Renzi: più spazio nel Recovery plan agli investimenti rispetto agli incentivi e più spazio alle spese aggiuntive rispetto a quelle sostitutive di progetti già in bilancio; cessione da parte del premier della delega ai servizi segreti a una persona terza di sua fiducia (si fanno i nomi del segretario generale della Presidenza del Roberto Chieppa o del sottosegretario Mario Turco); stop al contestato progetto di una Fondazione con capitali pubblici e privati per la cybersecurity; un ministero ad hoc o una vicepresidenza con la delega all’attuazione del Recovery plan (probabilmente al Pd) per superare politicamente l’impasse sulla cabina di regia inizialmente immaginata dal premier con sei supermanager estranei ai partiti.
... e l’offerta, rifiutata, di un corposo rimpasto
Ma soprattutto da Conte è arrivata la disponibilità a un corposo rimpasto. Le ipotesi per la rivisitazione della squadra di governo sono un vicepremier del Pd (Andrea Orlando o Dario Franceschini nel caso in cui il ministero da lui retto - Cultura e Turismo - dovesse essere diviso in due) e l’ingresso dei renziani in una o due caselle di peso: o la Difesa, e in questo caso il dem Lorenzo Guerini si trasferirebbe al Viminale con l’attuale ministra degli Interni Luciana Lamorgese che passerebbe ad avere la delega ai servizi segreti; oppure le Infrastrutture, che sembra essere la vera meta di Renzi per uno dei suoi (Maria Elena Boschi o Ettore Rosato), e in questo caso la dem Paola De Micheli terrebbe solo i Trasporti previo spacchettamento o traslocherebbe al Lavoro scalzando la ministra pentastellata Nunzia Catalfo, giudicata troppo “assistenzialista” sia da Renzi sia dal Pd.
Il nodo delle dimissioni del premier per attivare al Conte ter
La proposta è però stata respinta al mittente da Renzi. Non perché non fosse soddisfacente di per sé, ma perché Conte vuole arrivarci tramite la formula del rimpasto, appunto, e non tramite la formazione di un governo del tutto nuovo con giuramento e nuova fiducia delle Camere come avverrebbe in caso di Conte ter. Il passaggio che il premier vuole assolutamente evitare è quello delle dimissioni: è evidente che non si fida di Renzi, come una parte dello stesso Pd, perché teme che una volta ottenute le sue dimissioni possa cambiare schema e lavorare ad altre soluzioni. Ma è anche vero che le altre soluzioni immaginate dal leader di Italia viva nelle scorse settimane sono sfumate: quella di un governissimo assieme al centrodestra per l’indisponibilità del Pd e per le perduranti posizioni sovraniste e trumpiane della Lega e di Fratelli d’Italia; quella di un governo a guida Pd con la stessa maggioranza (Renzi stesso aveva fatto circolare i nomi di Guerini e di Franceschini) semplicemente perché i gruppi del M5s, già balcanizzati per loro convulsioni interne, non la reggerebbero. Quindi a Renzi non restano che due strade: o lo strappo senza paracadute o continuare con Conte. Quello che l’ex premier non può permettersi senza perdere la faccia è però un semplice rimpasto: occorre un Conte ter, nuova squadra e nuovo programma. Insomma un cambio di passo anche formale che potrebbe intestarsi.
La possibile soluzione: dimissioni «congelate» dal Capo dello Stato
Ed ecco qui spuntare la possibile soluzione, con l’ombrello del Quirinale, a cui stanno lavorando alcuni ministri del Pd vicini al premier per dissuaderlo dal tentare una conta in Aula che lo metterebbe di fatto fuori gioco: sì alle dimissioni, ma subito “congelate” da Mattarella per permettere a Conte di mettere in piedi un nuovo esecutivo da lui guidato previo accordo blindato e pubblico tra i leader dei quattro partiti. Dal Quirinale si ricordano almeno due precedenti: il governo Goria e il governo Berlusconi (nel passaggio dal bis al ter). «Comprensibile che Conte non si fidi di Renzi - ci confida una fonte governativa - ma in questo caso deve fidarsi del Presidente della Repubblica». Certo, prima di arrivare a tale soluzione - che per molti attori sulla scena è ormai l’ultima spiaggia per evitare una crisi sempre più incomprensibile agli occhi della pubblica opinione - il campo deve essere sminato e il ritrovato accordo deve essere siglato in un vertice tra Conte e i leader politici. In tempi brevi. Quarantotto ore, al massimo settantadue.
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