Siamo all’alba del successo sostenibile
È necessario innescare un circolo virtuoso tra imprese e cittadini
di Umberto Tombari
3' di lettura
In questo drammatico momento per il Paese, l’impresa e tutto il sistema produttivo italiano devono essere difesi e tutelati con ogni mezzo, preservando l’attività ordinaria e prevenendo (o comunque combattendo) speculazioni di ogni sorta.
Un primo passo in questa direzione è stato certamente fatto con il decreto legge appena approvato, che dovrà servire ad aiutare le imprese difronte alla crisi scatenata dal coronavirus.
Il crollo delle capitalizzazioni di Borsa delle nostre grandi società pone poi il serio problema di come proteggere da scalate ostili tutti i principali asset strategici del Paese (nell’ultimo mese Eni ha perso il 49,6% ed Enel il 33,7%, mentre ieri sera Telecom Italia si poteva comprare con meno di 6,4 miliardi di euro e Leonardo con circa 3,1).
Insomma il principio deve essere quello del «qualunque cosa sia necessaria» (l’ormai famoso «whatever it takes»). Ma occorre essere, allo stesso tempo, “volpi” e “ricci”, per usare la terminologia resa nota da Isaiah Berlin: ossia perseguire una visione precisa, adattando continuamente il percorso agli scenari che cambiano all’improvviso e che possono richiedere repentini mutamenti di strategie. Fino al punto estremo di sviluppare «la capacità di tenere due idee opposte in mente nello stesso tempo e conservare la capacità di funzionare» (Francis Scott Fitzgerald).
Ma c’è un’altra faccia della medaglia, che è rimasta sino a ora parzialmente in ombra.
Questo deve essere anche il tempo di una effettiva responsabilità sociale delle imprese: dalle grandi alle medio-piccole, con una naturale proporzionalità degli interventi, ma senza dimenticare che una Pmi può avere, nel proprio territorio di riferimento, un impatto sociale paragonabile a quello di una grande sullo scenario nazionale.
Il dibattito sugli “scopi finali” dell’impresa è ritornato, non da ora, al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Non più tardi dell’agosto dello scorso anno si analizzava, ad esempio, la dichiarazione della Business Roundtable, secondo la quale, accanto al profitto per gli azionisti, la corporation deve perseguire “altri” interessi, come quelli di dipendenti, fornitori, consumatori. E anche dalle colonne di questo giornale ci si interrogava se eravamo in presenza di una “svolta etica” del capitalismo o se, invece, si trattava soltanto di generiche e superficiali affermazioni di un mondo senza alcuna reale volontà di cambiare. Dal canto suo, Larry Fink, Ceo di BlackRock, afferma, da tempo, che una società non può ottenere profitti a lungo termine senza perseguire uno “scopo” e senza considerare le esigenze di una vasta gamma di stakeholder. Tutte riflessioni, peraltro, già proprie di Adriano Olivetti negli anni cinquanta del secolo scorso (per fare solo un esempio).
Ebbene, è giunto il momento di scoprire le carte.
Con riferimento al contesto italiano, l’impresa deve essere aiutata, ma allo stesso tempo deve aiutare il Paese a riprendersi in questo frangente inaspettato e cruciale.
Ora più che mai devono essere tradotte in fatti concreti le dichiarazioni sul “successo sostenibile” come obiettivo che deve guidare l’azione dell’organo amministrativo (Codice di corporate governance del gennaio 2020) e sull’impatto sociale delle attività delle imprese.
Certamente vi sono già stati casi virtuosi di offerte di aiuti a livello nazionale (Intesa Sanpaolo ha annunciato donazioni per 100 milioni di euro, Eni, Generali, Italgas per citare solo alcuni), ma è importante che questa consapevolezza cresca, si rafforzi e si diffonda. Così, occorre continuare a pagare i fornitori se vi sono le condizioni per farlo e, più in generale, il mondo imprenditoriale deve pensare ad azioni di significativo e reale impatto sociale.
Questo è il “successo sostenibile”: rafforzare il Paese per consentire, a sua volta, al Paese, di continuare a sostenere l’impresa a livello di domanda e di consumi. Innescare un percorso circolare virtuoso. Ecco cosa dobbiamo fare in modo sistematico ed immediato.
Si afferma ormai da più parti che la pandemia in atto segnerà per sempre la nostra storia, demarcando il tempo tra un “prima” ed un “dopo”. Siamo allora in presenza di una grande occasione. Per l’impresa è il momento di ripensarsi in una dimensione nuova più civile e inclusiva.
Il banco di prova per un’effettiva responsabilità sociale dell’impresa è arrivato. L’Italia è un Paese a forte vocazione solidaristica, nel momento del bisogno. E anche l’impresa italiana si dimostrerà certamente all’altezza dei propri compiti.
Ordinario di Diritto Commerciale all’Università di Firenze
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