ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’emergenza

Siccità, in 5 mesi il deficit di piogge al 21%: record negativo di scorte idriche

I dati del Cnr certificano che da ottobre a febbraio le precipitazioni risultano in calo di un quinto rispetto alle medie, il 35% in meno al Nord. Carenza più marcata del 2022

di Michela Finizio e Alexis Paparo

La portata del fiume Po è diminuita drasticamente per la siccità invernale formando isole e spiaggette all’altezza di piazza Vittorio Murazzi a Torino

4' di lettura

Il serbatoio del Paese, alimentato da piogge e neve, è già a secco e le scarse risorse idriche accumulate negli ultimi cinque mesi dovranno alimentare la corsa fino alla fine dell'estate. A immortalare la gravità della situazione è la fotografia delle precipitazioni rilevate da ottobre 2022 a febbraio 2023, scattata dall'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr di Bologna.

L’Italia arriva alla primavera con un deficit di piogge cumulate del 21% in meno rispetto alle medie del trentennio 1991-2020. Un dato che al Nord tocca il 35%, al Sud si ferma al 13 per cento.

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Prendere in esame le precipitazioni da ottobre a oggi è cruciale per capire cosa succederà nei prossimi mesi perché «le piogge invernali diventano scorte per la stagione estiva», spiega Michele Brunetti, responsabile della banca dati Isac-Cnr. Anche sperando in precipitazioni sopra le medie in primavera, presto si dovranno affrontare le conseguenze della siccità. «Alcune regioni - racconta Brunetti - hanno già cominciato a pianificare razionamenti e la mancanza di acqua comporterà presto delle scelte. Bisognerà capire per cosa usare quella disponibile e si andrà per priorità».

Le piogge cumulate

In base ai dati forniti al Sole 24 Ore, oggi la situazione sembra più critica sia rispetto al 2017 (l'anno che risultò poi più siccitoso, secondo le ricostruzioni del Cnr, dal 1800 ad oggi) sia rispetto allo scorso anno, quando a luglio il Governo Draghi fu costretto a proclamare lo stato di emergenza per la siccità. I primi cinque mesi dell'anno idrologico, che va appunto da ottobre a settembre, nel 2022 avevano chiuso con un deficit di precipitazioni del 10%, più pesante - rispetto ad oggi - solo al Nord, dove a fine febbraio le piogge cumulate erano il 37% in meno. «Tutto è cominciato a dicembre 2021, dopo le ultime piogge consistenti di novembre, seguite da diversi mesi sotto media», ricorda Michele Brunetti, responsabile Isac-Cnr.

«Quest'anno - aggiunge - abbiamo cominciato prima: ottobre è stato estremamente siccitoso», con un deficit di piogge addirittura del 62% rispetto alle medie. A ottobre cominciano ad accumularsi le prime riserve idriche e in quota iniziano le prime precipitazioni nevose. E anche se i mesi successivi sono stati quasi in linea con i trend di lungo periodo, febbraio è stato di nuovo secco (ad eccezione dell'ultima settimana) e il deficit cumulato non è stato colmato.

IL CALO DELLE PRECIPITAZIONI - AL NORD >43° LATITUDINE
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La situazione climatica

Ad aggravare la situazione sono poi le temperature più elevate, tanto che «anche in quota - aggiunge il climatologo - diventano più rare le precipitazioni nevose». E se le piogge invernali sono importanti come scorte per l'estate, quelle solide lo sono ancora di più, perché non defluiscono immediatamente e nei mesi più secchi alimentano fiumi, corsi d'acqua e invasi.

La neve, insomma, è la scorta naturale più importante e oggi scarseggia. Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, condotto sempre dall'Istituto del Cnr insieme all'università di Padova, certifica che la durata del manto nevoso sulle Alpi è scesa da 250 giorni (dato medio degli ultimi 600 anni) a 215 giorni nell'ultimo decennio.

Temperature più elevate, inoltre, si traducono in meno umidità nel terreno: la superficie terrestre si scalderà più in fretta, con il rischio di importanti ondate di calore nei mesi estivi.

L’emergenza nei bacini

Sale la preoccupazione dell'Anbi, l'associazione che riunisce i consorzi dei bacini idrici. L'ente segnala che le scarse piogge e nevicate di fine febbraio e inizio marzo non hanno ridefinito l'equilibrio idrico, ormai largamente deficitario. La situazione è critica in Trentino, con invasi e laghi pieni al 32 per cento. In Lombardia le riserva idrica è carente rispetto alla media storica (-55,9%), anche se superiore allo scorso anno (+12,59%). C'è una leggera ripresa nell'area del delta del Po, che però a monte continua a fluire sotto minimi storici in numerose stazioni di rilevamento. E sale alla ribalta la Calabria, con i bacini silani al 30% della possibilità d'accumulo (a febbraio 2022 era al 50%). «Per il secondo anno consecutivo, l'ottavo degli ultimi venti, rileviamo una carenza della disponibilità di acqua che è sotto le medie storiche», spiega Francesco Vincenzi, presidente di Anbi. «Il Mezzogiorno risponde generalmente meglio alla siccità rispetto al Nord grazie alle opere realizzate in passato tramite la Cassa del Mezzogiorno. L'infrastrutturazione, infatti, è la risposta più idonea nel medio e lungo periodo».

IL CALO DELLE PRECIPITAZIONI - AL SUD <43° LATITUDINE
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Nel frattempo gli enti di bonifica lavorano per attuare la direttiva europea che ci obbliga al recupero delle acque reflue depurate (fino al 31 marzo è in consultazione sul sito del ministero dell'Ambiente la bozza del provvedimento con le prescrizioni minime per il riutilizzo dell'acqua ai fini agricoli, industriali e civili, ndr) che al momento è al 5 per cento. «Abbiamo già esempi validi nel nostro Paese – continua Vincenzi – come a Mancasale di Reggio Emilia, dove grazie al recupero delle acque reflue del depuratore si irrigano 2mila ettari. Abbiamo sperimentazioni attive sul territorio bolognese, nel Lazio, in Gallura».

Tra le situazioni più allarmanti, secondo il presidente dell'Anbi, quella del Piemonte: «Sul territorio c'è la maggiore carenza d'acqua sia all'interno degli alvei sia come manto nevoso delle Alpi e alcune aree sono a rischio desertificazione». In tutto il bacino padano, ma anche nel Lazio, preoccupa la perdita della falda superficiale. «Oggi è cambiato il paradigma: non più allontanare l'acqua ma imparare a trattenerla», conclude Vincenzi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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