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Siccità, l’Italia guarda ai dissalatori e prepara la nascita di una filiera

Finora era mancata in Italia una reale necessità che rendesse anche economicamente vantaggioso lo sviluppo di queste soluzioni

di Giovanna Mancini

Dell'Acqua (Commissario siccità): "Elaboreremo dati da Regioni, ministeri hanno in mente priorità"

5' di lettura

In un contesto generale in cui la carenza idrica e il processo di desertificazione non sono più fenomeni episodici ed emergenziali, ma stanno diventando strutturali in diversi Paesi, tra cui l’Italia, anche la prospettiva di trovare soluzioni alternative di approvvigionamento idrico – come la dissalazione o il trattamento delle acque reflue – sta diventando più urgente e concreta. I dissalatori sono stati del resto inseriti anche tra le priorità della Cabina di regia per l’emergenza idrica che si è riunita giovedì scorso per la prima volta e dal neo commissario straordinario Nicola Dell’Acqua.

Un po’ come è accaduto per i rigassificatori: «Nessuno li voleva, quando c’era ampia disponibilità di gas, e ora tutti lo vogliono. Lo stesso è avvenuto per i dissalatori, impianti tecnologicamente più complessi, più costosi e con un maggior impatto ambientale rispetto ai tradizionali sistemi per prendere l’acqua da un lago, ma nello scenario climatico attuale e futuro sono una soluzione interessante, idonea oltretutto a gestire picchi di consumo, ad esempio in alcuni territori turistici come il Sud o le Isole», osserva Massimiliano Bianco, ceo di Suez Italia, filiale italiana della multinazionale francese servizi idrici e ambientali, che in 160 anni di storia ha progettato e costruito oltre 11mila impianti di trattamento acque nel mondo, tra cui 255 dissalatori e 50 impianti per il riutilizzo di acque reflue, con oltre un miliardo di persone servite. In Italia, Suez sta realizzando un impianto di dissalazione nell’Isola d’Elba che, quando entrerà a regime nel 2024, avrà una capacità di 80 litri/secondo. «C’è bisogno di un mix intelligente di sistemi di approvvigionamento, per coprire un fabbisogno di sicurezza, ma anche per coprire i picchi stagionali. Credo che la prospettiva di una integrazione tra diverse soluzioni sia destinata a crescere».

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Mix di soluzioni integrate contro i danni della siccità

Dello stesso avviso Paola Bertossi, ceo di Fisia Italimpianti, la controllata del gruppo Webuild specializzata nella progettazione e nella realizzazione di impianti per il trattamento delle acque e per la dissalazione, con una produzione pari a 6 milioni di mc al giorno di acqua trattata. Negli ultimi 17 anni, Fisia ha realizzato oltre 20 impianti (di cui 14 dissalatori, 7 trattamento acque e due waste-to-energy.

«La scarsità d’acqua nel nostro Paese non si può più considerare un fatto straordinario e se guardiamo le proiezioni della disponibilità di acqua nei prossimi dieci anni non possiamo permetterci di rimanere a guardare – dice Bertossi –. In un solo anno, nel 2022, l’agricoltura in Italia ha subito danni per 6 miliardi di euro. Dobbiamo agire in fretta, creando le infrastrutture che sostengano la nostra economia. Dobbiamo considerare tutte le opzioni che abbiamo a nostra disposizione e la dissalazione è una soluzione, anche per l’Italia, sia a uso irriguo, sia a uso potabile».

Fortunatamente, aggiunge la ceo di Fisia, anche in Italia negli ultimi tempi si è cominciato a parlare di dissalazione in maniera concreta. A Taranto sta per partire la gara per realizzare il più grande dissalatore del Paese – comunque di taglia ridotta rispetto ai grandi impianti attivi in Israele o Medio Oriente: parliamo di una potenzialità di 55.400 metri cubi al giorno di acqua, contro i 300mila o 600mila mc al giorni dei progetti realizzati dalla stessa Fisia nei Paesi del Golfo, che storicamente hanno per primi investito in queste soluzioni.

Verso la creazione di una filiera in Italia

Aperture e interesse arrivano anche dalla Regione Veneto o da città come Genova e a supporto della nascita di un vero e proprio mercato della dissalazione anche nel nostro Paese arriva ora anche dalle norme contenute nel recente decreto Siccità, che semplificano gli iter autorizzativi per la realizzazione dei dissalatori. Lo stesso Pnrr prevede alcune linee dedicate allo sviluppo di soluzioni per la gestione dell’emergenza idrica.

Tutto questo crea le premesse anche per lo sviluppo di una filiera industriale a supporto di questi impianti, dal punto di vista sia tecnologico, sia delle forniture dei componenti. «A oggi non ci sono aziende specializzate nel settore, tranne qualche mosca bianca, ma questo non è un problema perché le tecnologie esistono e in Italia ci sono tutte le competenze necessarie a implementarle», spiega Alessandro Marangoni, economista e ceo di Althesys, società di consulenza che di recente ha realizzato assieme ad Acciona (uno dei principali player europei nella dissalazione) un paper che fa il punto sul settore in Italia e nel mondo. A livello globale, si legge nel documento, esistono solo 19.700 impianti di dissalazione, per quasi 100 milioni di mc di acqua prodotto al giorno. In Italia, gli impianti sono solo 12 e tutti di piccola taglia (tranne un sito di taglia industriale, a Cagliari, che serve la raffineria Saras), che producono circa 290 milioni di mc di acqua al giorno, contro i quasi 2,2 miliardi di mc della Spagna, il Paese europeo che, con 765 impianti, vede i maggiori investimenti in questo mercato.

Evoluzione tecnologica e riduzione delle criticità

«Finora è mancata in Italia una reale necessità che rendesse anche economicamente vantaggioso lo sviluppo di queste soluzioni – aggiunge Marangoni –. Oggi, purtroppo, questa necessità c’è. Contestualmente, le tecnologie hanno fatto enormi progressi consentendo sia di ridurre i costi di costruzione e gestione degli impianti, ad esempio adottando il sistema dell’osmosi a inversione al posto dell’evaporazione, sia di ridurne l’impatto ambientale».

Tra le criticità ci sono infatti sia la gestione dei residui del processo di dissalazione, sia l’elevato consumo energetico di queste infrastrutture: «Per pompare acqua da un lago servono 370 watt per ogni metro cubo, per produrre acqua dissalata ne occorrono tra 2.600 e 8.500», spiega il professor Francesco Fatone, docente all’Università Politecnica delle Marche e membro del comitato tecnico-scientifico della fiera Ecomondo (dal 7 al 10 novembre prossimi a Rimini), dove il tema della gestione idrica è al centro del dibattito. «La sfida per i prossimi anni, e credo che anche su questo si aprano delle opportunità per le aziende italiane, non è tanto sulla parte meccanica, quanto nello sviluppo di soluzioni energetiche che abbinino fonti rinnovabili a quelle tradizionali per far funzionare questi impianti». Altro tema importante è quello della gestione dei residui, ma anche qui le tecnologie vengono in supporto, osserva Alessandro Marangoni, con progetti interessanti di riutilizzo: ad esempio nell’acquacoltura oppure per produrre fertilizzanti o per estrarne i minerali.

Il nodo dei costi: dove i dissalatori sono vantaggiosi

Infine c’è il tema costi, molto variabili, ovviamente, a seconda della dimensione dell’impianto e del luogo di installazione. «Per le opere più grandi, un valore di riferimento potrebbero essere circa 800 dollari al mc di investimento, quindi 400 milioni di dollari per un impianto di 500mila mc», osserva Paola Bertossi. Poco nulla se confrontato ai danni che la carenza idrica genera nell’industria e nell’agricoltura, per non parlare delle possibili conseguenze sociali. Tutto dipende da dove si costruisce l’impianto: «È chiaro che vanno valutati i contesti in cui ha senso realizzarne – dice Marangoni –. In Italia di sicuro è una soluzione vantaggiosa nelle Isole minori, dove l’approvvigionamento avviene tramite trasporto su navi-cisterna, che portano il costo dell’acqua fino a 10-15 euro al metro cubo, contro i 2-3 euro al metro cubo dell’acqua prodotta da un dissalatore a osmosi».

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