RIFLETTORI ACCESI AL SENATO 

Sicurezza bis alla prova della fiducia: le incognite dissidenti M5S e quorum

Dal numero di pentastellati dissidenti che potrebbero alla fine tirarsi indietro alla strategia di Forza Italia e Fratelli d’Italia, forze politiche di opposizione al governo Conte ma che condividono i contenuti del provvedimento caro al leader della Laga Matteo Salvini

di Andrea Carli

Dl Sicurezza bis, dalle maximulte alle Ong al Daspo fino a 10 anni allo stadio

5' di lettura

Il decreto sicurezza bis si accinge a passare sotto le Forche Caudine del Senato, dove gli alleati di governo M5S-Lega sono una manciata di voti sopra la maggioranza. A poche ore dal voto sulla questione di fiducia posta nel primo pomeriggio dal Governo sul provvedimento - il voto è previsto per la serata di oggi (ma potrebbe anche slittare a domani mattina) -, si delineano due incognite: quanti saranno i senatori pentastellati dissidenti che preferiranno uscire dall’aula al momento della votazione e che cosa faranno FI e Fratelli d’Italia, che condividono in parte i contenuti del provvedimento .

FI in Aula ma non vota,quorum pertanto non scende
I senatori di Forza Italia, dopo una riunione del gruppo che si è svolta in mattinata, hanno deciso che al momento del voto di fiducia sul dl sicurezza sfileranno sotto la presidenza dicendo “non partecipo al voto”. Una soluzione, hanno spiegato fonti del partito, che non fa abbassare il quorum, a differenza di quanto sarebbe accaduto se Forza Italia avesse lasciato l’Aula. Il gruppo Fdi sarebbe invece orientato all’astensione. Le due scelte si differenzierebbero unicamente sul piano politico per avere, tuttavia, il medesimo effetto di non abbassare il quorum per l’ottenimento della fiducia (che è calcolato sulla base del numeri dei presenti nell'emiciclo).

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Il decreto è giunto in aula al Senato senza relatore. La decisione è stata presa dalla commissione Affari costituzionali di palazzo Madama che non ha potuto votare gli emendamenti in mancanza del parere della commissione Bilancio.

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Perché il provvedimento passi, non serve dunque la maggioranza qualificata di 161 voti ma la metà più uno dei senatori presenti. Al Senato infatti i senatori che si dichiarano astenuti sono considerati presenti, a differenza della Camera dove sono considerati presenti solo i deputati che esprimono voto favorevole o contrario. Ciò comporta che, per non prendere parte alla votazione, i senatori devono uscire dall'Aula.

Si profila dunque una prova politicamente significativa per la tenuta della maggioranza gialloverde, in contesto caratterizzato da un braccio di ferro continuo tra Lega e Cinque Stelle, che si fa ancora più accentuato man mano che si avvicina il momento in cui andranno definite le misure che entreranno nella prossima legge di Bilancio. Il voto di fiducia al decreto sicurezza bis, provvedimento fortemente voluto dal vicepremier leghista Matteo Salvini, è atteso per questa sera al Senato.

Dopo il via libera della Camera, anch’esso con la fiducia, il decreto si avvia a ottenere il sì definitivo (scadrà a metà mese). Al di là delle incognite di queste ore, la maggioranza confida di superare questa prova.

Il secondo tempo della partita: la mozione sulla Tav
Una volta incassato il sì al dl sicurezza, la partita avrà comunque un secondo tempo, politicamente altrettanto scivoloso: martedì si voteranno le mozioni sulla Tav e allora emergerà con chiarezza la spaccatura giallo-verde. La Lega voterà contro la mozione No Tav del M5s e dovrebbe dire sì a quelle pro-Tav di Pd, FI e Bonino.

L’incognita dei senatori pentastellati dissidenti: quanti saranno?
Intanto si naviga a vista, e a tenere banco è il decreto sicurezza bis dove si va alla conta dei voti. A Palazzo Madama la maggioranza M5S-Lega può contare, almeno “sulla carta”, su 167 voti, inclusi due senatori del gruppo Misto. Nel complesso siedono a Palazzo Madama 321 persone, contando anche i sei senatori a vita. La maggioranza assoluta è, dunque, 161 sì. I Cinque Stelle sono il gruppo più numeroso: 107 voti. L’incognita è: che cosa faranno i dissidenti e, soprattutto, a tirarsi indietro sarà un numero contenuto o alla fine la protesta riguarderà più senatori pentastellati del previsto? Nelle ore che precedono la prova in Aula, i ribelli stanno ancora valutando il da farsi. Potrebbero venire a mancare sette voti, ma non è escluso che la protesta si allarghi. Allo stato attuale, oltre a quello della senatrice pentastellata Elena Fattori (che ha già annunciato di non votare la fiducia), dovrebbe mancare i voti di Mattia Mantero, Virginia La Mura, Lelio Ciampolillo, Alberto Airola, Pietro Lorefice e Mattia Crucioli. Si scenderebbe quindi a cento pentastellati. In caso di assenze, poi, il numero scenderebbe ulteriormente. Quanto invece alla Lega, ha 58 senatori, ma potrebbe scendere a 57 perché Umberto Bossi non è detto che venga a votare per motivi di salute. Potrebbero poi aggiungersi il sì dell’ex M5S Maurizio Buccarella e quello di tre senatori della Südtiroler Volkspartei (Svp) e uno dell’Union Valdotaine. Tirando le somme, con l’apporto di questi quattro la fiducia potrebbe contare alla fine, sottraendo i “dissidenti” 5S, su 166 voti, ovvero cinque in più della maggioranza assoluta. Un pugno di voti sarebbero pertanto decisivi.

La scelta di porre la fiducia sul testo
Il governo ha deciso di porre la fiducia sul provvedimento. La scelta, ha spiegato il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo in un’intervista a La Stampa, è stata presa di fronte all’elevato numero di emendamenti (1.240) presentato dalle opposizioni nel passaggio in commissione. Proposte di modifica che, agli occhi della maggioranza, potrebbero allungare i tempi dell’esame, esponendo il provvedimento al rischio scadenza. Se l’esecutivo non avesse deciso di porre la fiducia, Forza Italia e FdI, che non sostengono il governo Conte ma condividono i contenuti del provvedimento, avrebbero con ogni probabilità votato sì al decreto. Gli Azzurri possono contare su 61 senatori, esclusa la presidente Elisabetta Casellati che per prassi non vota, mentre Fratelli d’Italia ha dalla sua 18 voti.

Da FI e FdI no alle questioni pregiudiziali
Nel momento in cui l’esecutivo giallo verde ha deciso di porre la fiducia, le due forze di opposizione di centrodestra hanno dovuto trovare una propria linea: votare sì al testo avrebbe avuto il significato di un sostegno esplicito al Governo Conte. Sulle questioni pregiudiziali FI e FdI hanno detto entrambe no. Potrebbero uscire dall’aula al momento del voto i senatori vicini a Toti (cinque o sei), il governatore della Liguria che ha strappato con Berlusconi e che ha un dialogo con la Lega. Se invece decidessero di rimanere in aula, il quorum necessario a far passare il decreto inevitabilmente aumenterebbe, e i rischi per il provvedimento voluto da Salvini aumenterebbero di conseguenza. Già la decisione degli Azzurri ha complicato lo scenario. La partita è aperta, e le posizioni non si sono ancora del tutto definite. Il risultato finale arriverà tra poche ore.

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