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Le Finali hanno grande fascino. Partite secche, alla morte. Prima di iniziare non si vuole proprio pensare al fatto che qualcuno alla fine gioirà e qualcun altro piangerà. Irreversibilmente. Non esistono due vincitori: il Vincitore è sempre e soltanto uno. L'altro è il re dei perdenti, l'ultimo a cadere, a testa alta o a capo chino poco importa. Uno vince, tutti gli altri perdono. Lo sa bene Simone Inzaghi da Piacenza, 47 anni compiuti, segni particolari: folti capelli e riga in mezzo, voce roca, esperto delle finali di coppa e vate del 3-5-2. Sinora Simone aveva sempre sgorgato le lacrime finali altrui, ma le leggende e la cabala incontrano il limite oggettivo delle scienze statistiche. E' successo a Josè Mourinho pochi giorni fa, ora è la volta di Inzaghi.
A ben vedere, questa finale di Istanbul è stata molto persa negli spogliatoi, prima di entrare in campo. Bisognerebbe dirlo, senza concedere nulla al buonismo consolatorio di chi complimenta il Piacentino solo per non essersi fatto travolgere dalla marea celeste.È stata persa nella testa, anzitutto, poi nelle gambe e infine nei protagonisti, coloro che sarebbero predestinati a far la differenza quando la Storia deve poi essere archiviata nei libri.Eravamo tutti convinti di avere di fronte gli attuali Invincibili della pelota (sarebbe bastato studiare con attenzione la recente finale di FA Cup per ridimensionare la gravita' del problema). Una specie di macchina da guerra calcistica, capace di umiliare gli avversari con rotoli di goal, uno più spettacolare dell'altro. Questa la vulgata mainstream tramandataci, urbi et orbi, sino a ieri sera.
Di goal, questi parvenù, in realtà ce ne hanno fatto uno a stento, di onesta fattura per carità, ma anche per le circostanze del caso. Se Matteo Darmian e Haken Chalanoglu si fossero ricordati di essere su un campo da calcio, compressi nell'area di rigore e proprio davanti alla nostra linea di porta forse avrebbero opposto barriera meno scansante a un tiro ben congegnato, ma nulla più e comunque frutto di una carambola difensiva piuttosto anomala.L'Inter ha giuocato fino al 67° solo per non perdere e infatti non abbiamo perso.
Cioè, ha sì perso, ma non è stata né travolta né umiliata, anzi, abbiamo persino qualche consolatoria recriminazione verso il fato, che poteva rendere l'Ataturk meno amaro. Ma è nella preparazione della partita che si sono costruite le fondamenta della sconfitta. Quel tarlo nella mente secondo cui l'Inter fosse nettamente inferiore ai nostri avversari combinato con quel venticello di calunnia che forse era in Finale in vece di qualcun altro, più meritevole. Simone Inzaghi questo tarlo non è riuscito a rimuoverlo. Ha fatto altro di buono, ma in questo non ce l'ha proprio fatta. Soprattutto perché il tarlo di cui sopra albergava principalmente nella sua testa. Montagne di denaro è costato assemblare questo City, lo sappiamo bene, anche in barba al vituperato fair play finanziario (qualunque cosa esso sia). Fiumi di letteratura (e ancora soldi) per preparare l'apologia di questo Triplete.
Come se in campo fossero scese 11 trivelle per l'estrazione dell'oro nero, con indosso la maglia celeste, invece che 11 pedatori. Tutto il peso di questo storytelling si è riversato in campo ieri. Ciononostante quelli terrorizzati di fallire erano i Citizens, Guardiola in testa (più nevrotico e teatrale che mai), ma l'Inter non se n’è accorta. Inzaghi non ci ha fatto caso. Erano troppo concentrati a recitare il loro copione di illustre vittima sacrificale. Il tavolo era stato già apparecchiato e non hanno saputo rifiutare le pietanze doviziosamente cucinate, ribaltandolo.
L’Inter l’altra sera rappresentava l’Aristocrazia del Calcio, un po’ fané e demodé, con la propria ammaccata proprietà cinese e i suoi pochi yuan rimasti. Il City invece impersonificava i “Barbarians at the gate”, il nuovo che avanza, roboanti a colpi di petroldollari.
Tutti a osannare Spiaze per aver “imballato” la Football War Machine del City. Sarà. Ma per ottenere questo risultato che salva l'onore e forse la dignità, ha snaturato la “sua” Inter, violentandola. Come un novello Michelangelo che dopo aver creato l'opera perfetta la mutila e la sfregia un po’ per sfogare la proprie frustrazioni di genio solo parzialmente compreso in vita e un po’ per dimostrare (a se stesso) la propria onnipotenza. Una sorta di Ubris alla piacentina last minute, insomma.
L'Inter spiazesca, che nel bene e nel male ha teoricamente una vocazione offensiva, vince e convince solo e soltanto se il centrocampo e i gli esterni di fascia sostengono, supportano e danno assistenza ai tre attaccanti (Lautaro, Dzeko e Lukaku) che tutti insieme non ne fanno uno di quelli che bastano, da soli, a chiudere il Tabellino. In altre parole, se l'unica missione affidata al Centrocampo è solo difendere e arretrare e se la missione degli Esterni è esclusivamente il contenere e distruggere, allora il destino è scritto: questa Inter non sa segnare e quindi non segnerà.
Quest’anno lo si è visto troppe volte, ripetutamente. Simone Inzaghi non poteva non saperlo e ciononostante ha scelto di impostare una partita di contenimento, di opposizione, di distruzione del giuoco altrui. Tutta in difesa, all’“italiana”. Inzaghi è un buon allenatore (ormai possiamo dirlo), i risultati raggiunti suggeriscono addirittura qualcosa di più, ma poche ore fa gli è venuto “il braccino”. Se scendi in campo puntando ai rigori dal primo minuto, ai rigori non ci arrivi. E' quasi l'abc del calcio.
Potrai non sfigurare, potrai evitare le ripetute umiliazioni patite dall'Allegri bianconero in finale di CL (1:3; 1:4 con le due regine spagnole) questo sì, ma non la vincerai mai. Mai. Magari ai rigori, ma prima ci devi arrivare. E quando scopri che non Ti lasceranno arrivarci, che non Te lo permetteranno (perché Ti hanno ormai scoperto che solo su quello punti) è troppo tardi per ribaltare il senso e la direzione di una partita di “soli” 90 minuti (soprattutto se ne mancano solo una ventina o poco piu' e l'acido lattico e i crampi ormai spadroneggiano, ma soprattutto se Ti rimangono solo Bellanova e D'Ambrosio da gettare nella mischia.Chalanoglu ha giuocato talmente al di sotto delle sue capacità che Inzaghi lo ha dovuto sostituire.
Ma l'ex milanista non ha giuocato malissimo perché era nella sua Patria natia ed era emozionato, o aveva il raffreddore. Chalanoglu non è giuocatore da vincoli tattici. È un creativo. Deve essere libero di testa. Se pensa troppo, è finito. Deve stare lassù nelle ultime 20/25 magiche yards a inventare, raccordare, finalizzare, cucire e appena ci sono i presupposti anche a “castagnare” (lui che sa tirare da fuori, merce rarissima nel calcio contemporaneo). È la terza punta in campo. Se lo costringi solamente a difendere e a ostruire è finita, ancor prima di cominciare. Per lui, per l'Inter.
Emblematico il fatto che sul non irresistibile tiro di Rodri, un piattellone a giro ridotto, volto a uccellare Onana e i nostri due eroi (Darmian & Chala), gli ultimi occhi che hanno visto la palla entrare mestamente nella nostra rete erano proprio quelli di Chalanoglu. Ma che cosa diavolo ci faceva lì? E' l’emblema gigantesco e indelebile di una partita giuocata fuori ruolo, da demansionato. Questa Inter può certamente difendere con efficacia, quando necessario. Lo ha dimostrato più volte, ma ovviamente a scapito della sua propulsione offensiva.
Gli attaccanti dell'Inter non sono letali. Sono buoni manovratori e ogni tanto l'azzeccano, ma da soli non vanno lontano. Invece quando vengono adeguatamente supportati dai Trequartisti (Chala e Barella) e dai Quinti (Di Marco e Dumfries o chi per loro) allora scuotono e percuotono. Se i suddetti Trequartisti e Quinti hanno però ricevuto il mandato imperativo del Mister di non superare la metà campo neanche in contropiede, la partita è segnata. Kaput. Il massimo ottenibile è il clean sheet bipolare. Questa è matematica. Ma l'ambizione di chiuderla a zero pari è difficilissima, anzi è proprio impossibile da coltivare contro una squadra che ha fatto del goal e della pressione continua, asfissiante, la sua cifra identitaria. Infatti, dai e ridai, il golletto, furbo e facile, il City lo ha confezionato. Onana, tra l'altro, è stato quasi fenomenale a evitare l'affossamento e a mantenere sempre la sua squadra in partita. In almeno due nitide, clamorose, occasioni ha opposto corpo, mani ed esperienza alle velleità celesti.Inzaghi ha compiuto il miracolo di condurre l'FC Internazionale fino alla Finalissima, me se poi la Coppa è volata a Manchester forse è allo stesso Inzaghi che bisogna presentare il conto.
*Docente di Economia aziendale Università Liuc di Castellanza
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