nel polo di pomezia

Slamp, sfida green e nuovi mercati per le lampade pop

L'azienda esporta l'80% dei prodotti. Il fondatore Ziliani: «Il Coronavirus per ora non ci fa paura». Investiti 5 milioni per il nuovo stabilimento a impatto zero

di Andrea Marini

Roberto Ziliani, fondatore della Slamp, azienda produttrice di lampade situata a Pomezia, nella zona industriale a Sud di Roma

3' di lettura

Roberto Ziliani avviò la sua produzione 26 anni fa, quasi in punta di piedi, nell’allora glorioso polo industriale di Pomezia, a sud di Roma. Un centro fatto di colossi farmaceutici e dell’elettronica. Mai avrebbe pensato, oggi, di essere rimasto, con la sua produzione di lampade, tra le punte di diamante che resistono al processo di deindustrializzazione dell’area: 60 addetti (età media 33 anni), 10 milioni di fatturato annui (che dovrebbero arrivare a 15 entro i prossimi 3 anni), il 10% dei ricavi investiti in ricerca e sviluppo, l’80% della propria produzione orientata all’estero in 180 paesi, 55mila lampade prodotte ogni anno in uno stabilimento di 8mila metri quadri nuovo di zecca (inaugurato un anno fa) a impatto ambientale zero. Numeri conquistati passo dopo passo, che hanno portato la Slamp, l’azienda fondata da Ziliani nel 1994, a stringere collaborazioni con la Swarovski e architetti di fama mondiale come Massimiliano Fuksas e Zaha Hadid. Nonché a vedere esposte alcune delle proprie creazioni all’Acropolis Museum di Atene e al Philadelphia Museum of Art.

«Eppure quando ho iniziato non avevo alle spalle alcuna cultura nel campo industriale e non sapevo minimamente come iniziate a fare una lampada», racconta Ziliani. I suoi studi partono in un campo totalmente diverso: la veterinaria. Ma poi la sua passione si concretizza nel ruolo di designer di set per l’alta moda e come consulente della comunicazione. È qui che scoppia la scintilla: «volevo assolutamente creare un brand, un prodotto – spiega – che fosse legato al mondo dell’arte. E poiché nelle sfilate di moda, nella scenografia, la luce è fondamentale, è diventato quasi naturale orientarmi verso questo mondo: non ho fatto altro che togliere tutto il superfluo che c’era su una lampada, ho preso uno schermo a forma cilindrica montabile e ho iniziato a fare i primi oggetti di grafic design». In sostanza un po’ quello che la Swatch stava facendo con alcuni orologi all’inizio degli anni ’90: oggetti di uso comune decorati come se fossero pezzi d’arte pop. «Da qui – spiega Ziliani – è nata l’idea anche del nome “Slamp”: la sintesi della parola “slang” e “lamp”. In sostanza, la trasformazione di un oggetto comune come la lampada in un pezzo di arte pop».

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Una fase della produzione di lampade

E alcune creazioni della Slamp pezzi d’arte lo sono diventati davvero: la collezione Flora, firmata nel 2013 per Slamp dal designer brasiliano Zanini De Zanine, è finita nel Philadelphia Museum of Art. Nell’aprile del 2017 diversi pezzi della scultura luminosa disegnata per Slamp dal regista Robert Wilson hanno illuminato le rovine archeologiche del V secolo d.c. nell’Acropolis Museum di Atene. «Ma le nostre lampade non hanno un prezzo esoterico - precisa Ziliani - sono comunque fatte per le tasche di quella che una volta si chiamava la “classe media”».

Slamp crede da subito nella innovazione. Lo “strappo” che impone il marchio sul mercato è la decisione di produrre le lampade con un nuovo materiale esclusivo: l’Opalflex, che garantisce un mix di flessibilità, infrangibilità, luminosità e setosità. Un materiale che poi i professionisti di Slamp incastrano e piegano a mano.

La seconda svolta è l’incontro nel 2006 di Ziliani con Fiona Swarovski, interior desiner ed ereditiera della omonima famiglia svizzera. Slamp partecipa allo Swarovski Crystal Palace del 2006. Il progettista incaricato di collaborare con Slamp alla nascita di uno chandelier in metacrilato e cristallo è Nigel Coates, architetto e designer britannico, in quel momento capo del dipartimento di Architettura del Royal College of Art di Londra. Da Coates inizia la collaborazione con tutta una serie di archistar, da Fuksas a Hadid, fino al regista Robert Wilson.

Tra i fattori su cui Slamp conta per incrementare il proprio fatturato nei prossimi anni c’è il nuovo stabilimento di Pomezia, dove l’azienda ha avuto sempre la propria sede. Inaugurato a settembre 2019 e costato un investimento di 5 milioni, ha al suo interno 30 linee di assemblaggio e 7 macchine da taglio a freddo «a impatto zero», sottolinea Ziliani. E il patron della Slamp promette: «L’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili sarà sempre più al centro dell’azienda».

La sfida per i prossimi anni sarà quella di trovare sempre nuovi prodotti e nuovi mercati: «La crisi del Coronavirus – afferma Ziliani – non ci spaventa. L’Asia per noi rappresenta il 18% dei ricavi. Siamo riusciti ad assorbire le perdite puntando su altre aree. Certo, se la situazione dura fino a settembre...».

Tra le principali difficoltà che vede la Slamp c’è la cronica lentezza della burocrazia e il peso del fisco italiano (quello che Ziliani chiama la «tartaruga fiscale»). «Vorrei avere un rapporto meno conflittuale con le istituzioni. E pensare che in Italia c’è una tale naturale propensione verso l’arte e la cultura, che rappresenterebbe il mercato perfetto per i nostri prodotti», conclude il titolare e fondatore della Slamp.

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