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Smart working: il 43% lavora dal salotto di casa

Report Gabetti: il lavoro da remoto impatta sul futuro del mercato e 9 smart worker su 10 vogliono cambiare la propria situazione abitativa

di Evelina Marchesini

(karrastock - stock.adobe.com)

5' di lettura

È un vero e proprio terremoto quello che impatta sugli stili di vita e dell'abitare a causa del Covid. Gli addetti ai lavori lo ripetono già da tempo: fin dai primi mesi del lockdown la pandemia ha rimescolato le carte dei desiderata delle famiglie e i motori di ricerca immobiliari, le piattaforme e i network si sono trovati alle prese con clienti improvvisamente digitalizzati, pronti a visitare virtualmente gli immobili e soprattutto con un gran voglia di spazi: spazi in più in casa, spazi per lavorare e studiare a distanza, spazi all'aperto.

Ora un'analisi di Gabetti Property Solutions fa il punto della situazione a oltre un anno dal primo lockdown, sintetizzata nel report “Smart working e nuove esigenze abitative: come il lavoro impatterà su abitazione, mercato residenziale e stili di vita”. La survey quali-quantitativa ha coinvolto più di 300 lavoratori. L'impatto diretto dello smart working sui bisogni abitativi è dimostrato dal fatto che quasi 9 smart worker su 10 hanno dichiarato di avere cambiato, o avere in programma di modificare, la propria situazione abitativa. E si scopre anche che il 43% degli intervistati lavora tuttora in soggiorno, il 26% prevede di acquistare, o ha già acquistato, una casa più grande e ben il 21% prevede di trasferirsi al sud, da dove proviene. Ma entriamo nel dettaglio.

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Smart working in salotto

Il ricorso allo smart working è un fenomeno destinato a durare, perlomeno per parte della settimana lavorativa. La domanda dunque è d'obbligo: da dove lavorano tutte queste persone? Secondo l'Ufficio studi di Gabetti, a livello di location, oltre l'80% di coloro che svolgono smart working utilizza la dimora abituale, mentre il 10% la seconda casa.

Dall'analisi dei risultati è inoltre emerso chesolo il 22% disponedi una vera e propria stanza studio, mentre il 43% ha risposto di lavorare in soggiorno e circa il 15% in camera da letto. Il 9% ha invece dichiarato di lavorare in cucina, mentre la restante parte in modo indifferente tra i vari ambienti dell'abitazione, alcuni dei quali assumono le forme di una stanza multifunzionale.

«Il fatto che il 43% degli smart worker intervistati lavori in soggiorno è indicativo di due esigenze abitative: da un lato la mancanza di un vano in più che costringe i lavoratori alla configurazione di una postazione di lavoro nel soggiorno, dall'altro la multifunzionalità della living room durante l'arco della giornata _ dichiara Francesca Fantuzzi, responsabile Ufficio studi Gabetti _. Questo potrebbe influire su una maggiore richiesta di abitazioni dotate di un soggiorno di metrature considerevoli, caratteristica sempre più ricercata soprattutto in mancanza del vano in più. Di contro, avere una stanza dedicata al lavoro rimane in cima alle caratteristiche abitative più ricercate».

Di certo anche le nuove tipologie di arredi dedicati aiutano. Perché la percentuale di chi lavora dalla camera da letto è alta, il 15%, resa possibile grazie all'utilizzo di scrivanie mobili pieghevoli al muro, che possono rendere una camera da letto di discrete dimensioni una sorta di postazione-ufficio, diventando a tutti gli effetti un ambiente multifunzionale.

Case più grandi

Da ciò il passo è breve. Parlando di intenzioni, la maggior parte degli intervistati manifesta quella di voler comprare (o anche di aver già comprato) una casa più grande, percentuale questa pari al 26%. Tale tendenza risulta ancora più evidente nei Comuni non capoluogo, dove la percentuale sale al 30%. Chi non vuole o non può comprare una casa più grande, vuole effettuare modifiche all'abitazione in cui vive, intenzione manifestata dal 24% degli intervistati.

«Un'esigenza soprattutto di chi ha sufficiente spazio per lo smart working - anche se si è in due a dover lavorare da casa - ma non ha trovato la giusta razionalizzazione degli spazi per la realizzazione delle postazioni ufficio», specifica il report.

Il south working

«Per i molti lavoratori che hanno sperimentato il lavoro da remoto full time e ai quali l'azienda ha comunicato di volerlo mantenere anche dopo la pandemia, l'impatto sul modello abitativo ha una dimensione rilevante: il 21% del campione ha infatti risposto che lo smart working ha comportato, o comporterà, un trasferimento nel Comune di origine, prevalentemente nel centro e nel sud Italia», si legge nel report. In questo contesto il dato è più significativo per i residenti nei Comuni capoluogo (28%) e in particolare nelle grandi città (30%), rispetto ai residenti nei non capoluoghi dove rappresenta solo il 9% dei casi.

Tra le ragioni di questa scelta radicale, il 33% lo ha fatto (o lo farà) per avvicinarsi ai propri cari, il 22% perché lo ritiene un ambiente ideale dove far crescere i propri figli, il 21% per il minor costo della vita e il 14% perché già proprietario di un'abitazione.

Più vicini alla natura

Oltre al trasferimento nel proprio Comune di origine, l'8% del campione ha risposto che si è già trasferito, o si trasferirà, in una località della stessa Regione o in una limitrofa a quella dove ha sede il lavoro. Questa scelta, soprattutto effettuata da coloro che raggiungono l'ufficio soltanto alcune volte al mese, è principalmente legata (40%) al fatto di voler vivere in un posto più a contatto con la natura, ma allo stesso tempo raggiungibile dall'ufficio in un paio d'ore.

In coerenza con questa ragione, il 13% del campione lo ha fatto anche perché stanco della vita frenetica della città, mentre l'altro 13% perché crede sia un ambiente ideale dove far crescere i figli. Da rilevare che comunque un 20% di chi si vuole trasferire in località limitrofe alla sede di lavoro cerca invece di andare a vivere in una città più grande.

Poco hinterland

Dal report emerge come minoritaria la tendenza che spinge gli smart worker a spostarsi dalle grandi città verso l'hinterland. Anche il trasferimento in un altro quartiere della stessa città è un fenomeno che appare residuale nell'ambito dell'indagine. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che chi vive in un quartiere per un periodo sufficientemente lungo, tale da determinare un radicamento territoriale, preferisce cambiare l'abitazione all'interno dello stesso quartiere o, in alternativa, tornare alle proprie origini.

Milano fa però eccezione, a causa dei prezzi alti del vivere in città, così il trasferimento nell'hinterland può essere un buon compromesso tra raggiungimento del minor costo della vita, vicinanza con la città e soddisfacimento delle nuove esigenze abitative. Diversamente, nelle grandi città in cui i valori di mercato sono più contenuti e in diminuzione (come Torino e Genova), le caratteristiche della domanda sembrano avere un impatto diverso in termini di scelta localizzativa dell'abitazione. In questi contesti, le abitazioni dei quartieri periferici, potrebbero essere oggetto di attenzione da parte di chi necessita di sostituire l'abitazione con una più ampia, così come le zone semicentrali, rese più accessibili dalla diminuzione dei prezzi.

L'andamento del mercato

«Le prospettive di chi cerca casa vanno tuttavia confrontate con la situazione concreta del mercato _ specifica il report di Gabetti _ che nel 2020 è stato caratterizzato da un calo fisiologico delle compravendite su scala nazionale a seguito dell'emergenza Covid (-7,7%)». In linea con quanto emerso nel 2020, in termini di compravendite di abitazioni, i Comuni non capoluogo hanno visto una flessione più ridotta (-5,7%), con un tasso di crescita positivo nel terzo (+8%) e nel quarto trimestre (+11,8%), rispetto ai capoluoghi e soprattutto alle grandi città, che stanno avendo una ripresa più lenta.

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