Smart working internazionale: convenienza fiscale da valutare
Stop alle agevolazioni per gli impatriati se la residenza è all'estero. Uno o più smart worker potrebbero configurare una stabile organizzazione
di Diego Paciello
3' di lettura
Il fatto che la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa si qualifichi come smart working dall’estero non rileva per l’applicazione degli ordinari criteri di determinazione della residenza fiscale del lavoratore. Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con la circolare 25 del 18 agosto 2023, nella quale sono analizzate le implicazioni fiscali connesse al lavoro da remoto svolto dall’estero.
L’agenzia ha analizzato il caso dei lavoratori per i quali non vi è coincidenza tra il luogo di residenza ai fini fiscali, il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa e quello in cui si esplicano gli effetti di tale attività lavorativa. L’Amministrazione finanziaria ha ribadito che per poter considerare residente ai fini fiscali uno smartworker, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale, è sufficiente il verificarsi, per la maggior parte del periodo d’imposta, di almeno una delle tre condizioni previste dall’articolo 2 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir): essere iscritti all’anagrafe dei residenti, oppure avere il domicilio o la residenza in Italia.
Le agevolazioni per chi rientra
La modalità di svolgimento della prestazione lavorativa è irrilevante anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi previsti per coloro che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un’attività lavorativa prevalentemente sul territorio italiano, disciplinati dall’articolo 16 del Dlgs 147 del 14 settembre 2015 (il cosiddetto regime speciale per lavoratori impatriati) e dall’articolo 44 del Dl 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 («regime speciale per docenti e ricercatori»).
Infatti, possono usufruire del regime degli impatriati, ad esempio, coloro che lavorano per un datore estero ma che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia e che svolgono la propria prestazione lavorativa prevalentemente sul territorio italiano, anche se in smart working. Al contrario, il trasferimento della residenza all’estero da parte di lavoratori per svolgere là in smart working la prestazione lavorativa per il datore italiano, comporta la decadenza dal regime fiscale agevolativo in questione.
L’applicazione del regime speciale per docenti e ricercatori, disciplinato dall’articolo 44 del Dl 78/2010, presuppone, invece, la sussistenza di un collegamento fra il trasferimento della residenza in Italia e lo svolgimento dell’attività produttiva del reddito agevolabile. Questo collegamento risponde alla ratio della norma di agevolare tutti i residenti all’estero che, per le loro particolari conoscenze scientifiche, possono favorire lo sviluppo della ricerca e la diffusione del sapere in Italia, trasferendovi il know how acquisito attraverso l’attività svolta all’estero. Rispetto a questa specifica ipotesi, l’agenzia delle Entrate ha quindi precisato che, a differenza di quanto chiarito per il regime impatriati, se un docente/ricercatore trasferisce la propria residenza fiscale in Italia ma continua a svolgere la propria attività lavorativa in smart working per un’università o ente di ricerca estero, non potrà beneficiare del regime di favore.
La definizione della residenza
Fattispecie più complesse rispetto alle quali l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di pronunciarsi sono quelle in cui il lavoratore è considerato residente – secondo le rispettive norme nazionali – sia dallo Stato in cui si è spostato per svolgervi la prestazione lavorativa, sia da quello dal quale si è trasferito. In questi casi, l’Agenzia ricorda che è necessario fare riferimento alla normativa transnazionale, prevalente su quella nazionale, rappresentata dagli eventuali trattati contro le doppie imposizioni stipulati tra gli Stati. Per stabilire dove il dipendente debba essere considerato residente, occorre fare riferimento alle cosiddette tie-break rules: nella maggior parte dei casi, occorre valutare dove il lavoratore disponga di un’abitazione permanente e, a seguire, dove abbia il centro degli interessi vitali (economici e personali), dove dimori abitualmente e, infine, la cittadinanza. Se le tie-break rules non bastassero a dirimere la questione, come extrema ratio, gli Stati decidono di comune accordo dove debba essere considerato residente il lavoratore.
A conclusioni analoghe a quelle rappresentate per i redditi da lavoro dipendente si giunge anche nei casi in cui si debba valutare l’esistenza di una stabile organizzazione o una base fissa del datore di lavoro nello Stato, diverso da quello in cui è stabilito, in cui il lavoratore (o più lavoratori) prestano la propria attività lavorativa.
Anche alla luce del Commentario al Modello Ocse, uno o più lavoratori che svolgono la propria prestazione in smart working possono configurare una stabile organizzazione. Le conseguenze per il datore di lavoro potrebbero essere molto rilevanti: i redditi d’impresa andrebbero tassati anche nello Stato in cui i lavoratori stanno svolgendo la prestazione in smart working.
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