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Smi: investire al Sud per tutelare l’intera filiera di tessile e abbigliamento

Il cluster Made in Italy compie 5 anni e rinnova il suo impegno nel fare da ponte tra imprese, istituzioni e università. Centrale la sinergia tra big e piccole imprese per vincere le sfide future

di Marta Casadei

2' di lettura

«Abbiamo proposto già al precedente governo di aprire un tavolo tra imprese, sindacati e ministero del Lavoro per far sì che in alcune aree del Paese, con particolare riferimento al Sud, si possa riattivare la filiera del confezionamento del capo di abbigliamento. Ciò consentirebbe, con bassissimi livelli di investimento, di conservare un alto contenuto di manodopera e, attraverso l’industria leggera, di mantenere le industrie pesanti della filiera del tessile che stanno dall’altro capo del Paese. Con il risultato di tenere la filiera del made in Italy davvero in Italia».

È una sinergia tra player ma soprattutto tra territori quella proposta da Sergio Tamborini, presidente di Sistema moda Italia, associazione che riunisce le imprese del tessile-abbigliamento italiano, al convegno “Made In Italy, la sfida della ripresa tra crisi e transizione” che si è tenuto ieri a Milano per lanciare un messaggio di sistema in merito alle priorità per l’innovazione e lo sviluppo delle imprese made in Italy. Un comparto che spazia dall’automotive alla nautica, dalle calzature al legno-arredo. E il cui valore va tutelato: «Il nostro sistema del tessile - dice Tamborini - oggi è al servizio delle filiere che si diramano a valle: quella italiana e quella francese. I marchi francesi più di quelli italiani, e prima degli italiani, hanno capito l’importanza della manifattura: hanno acquistato aziende nei segmenti pelletteria e calzature e giocano oggi un ruolo di primo piano nei distretti produttivi italiani. Nella confezione sta succedendo la stessa cosa e nel tessile c’è il rischio che succeda, ma bisogna evitare l’impoverimento che si verifica quando non c’è una pluralità significativa di player».

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La sinergia tra istituzioni e aziende di piccola e grossa taglia è solo una delle potenziali direttrici di sviluppo del “fatto in Italia” che si nutre anche dell’alleanza con il mondo dell’istruzione. Le università sono parte integrante del cluster made in Italy, associazione pubblico-privata che è nata cinque anni fa per far dialogare il mondo della ricerca e dell’innovazione con le filiere del bello e ben fatto. «Le aziende di piccole e medie dimensioni possono così disporre di tecnologie abilitanti, digitali o fisiche, e competenze altrimenti difficilmente accessibili dal singolo attore industriale - dice Silvana Pezzoli, presidente del Cluster made In Italy e vicepresidente di Sitip Industrie Tessili Spa -. Le aziende di grandi dimensioni, invece, si posizionano soprattutto a beneficio di chi vuole co-creare o adottare soluzioni innovative. Le università e i centri di ricerca hanno l’opportunità di un confronto diretto con l’intero mondo imprenditoriale e conoscerne le aspettative e i bisogni che altrimenti non verrebbero colti».

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