Social media, news di qualità antidoto all’intrattenimento “all you can eat”
Trascorriamo molte ore al giorno sulle piattaforme social: per distrarci, il più delle volte. Ma talkvolta è l’occasione per attingere a contenuti di grande pregio
di Virginia Stagni (*)
3' di lettura
Le piattaforme social hanno innegabilmente trasformato il modo in cui consumiamo informazioni. Una rivoluzione digitale che, come tutte le rivoluzioni - che costruiscono nuovi mondi nel guscio del vecchio - arriva con un ampio bagaglio di conseguenze con cui confrontarsi. Due fondamentali: il fenomeno della disinformazione e la scarsa capacita' di far fronte alla noia. Specialmente tra i giovani. Il fatto che le piattaforme non siano (ancora) totalmente attrezzate tecnicamente con strumenti di fact-checking immediati e la rapidita' con cui le informazioni vengono trasmesse, rendono la proliferazione della disinformazione capillare e tangibile. Questo porta a una mancanza di fiducia anche nei confronti dei media tradizionali: si fa di tutta un'erba un fascio e si trattano con scetticismo anche le risorse più credibili come giornali e istituzioni perchè “l'ho letto su Facebook” o “era online”.
Il menu all you can eat
Allo stesso modo, i social media portano una immediata gratificazione mentale per gli utenti: siamo abituati a un costante intrattenimento e iperstimolazione sensoriale e contenutistica, a causa di un feed infinitamente scrollabile su ogni piattaforma che utlizziamo. Il menu all you can eat che i social ci offrono quasi gratuitamente (perchè paghiamo con il nostro tempo e le nostre ‘traccè - i nostri dati!) è fatto di pietanze di contenuti variegati, che assaggiamo e ingurgitiamo bulimicamente, senza respirare o gustare davvero cio' con cui interagiamo.
Tra otium e negotium
Cosi' che ci troviamo a non saper affrontare il minimo momento di noia. Infatti, la costante distrazione che i social media offre ci impedisce di ripensare a come utilizzare appieno i preziosi momenti di inattività: la noia, di fatto, è un catalizzatore unico per la creatività e l’autoriflessione e andrebbe proprio per questo sfruttata. Quante volte vi siete sentiti poco affermati perchè colti in un momento di tranquillità o di niente? L'ozio è diventato quasi una vergogna, piuttosto che una forma di appagamento.
Leggere un libro senza una pragmatica utilità diventa perdere tempo, cosi' come sfogliare il giornale senza il fine del negotium, ossia con la ricerca di qualcosa di utile a una mansione o un circoscritto compito. Pero', ammettiamolo, non ci sentiamo cosi' in colpa quando oziamo sui social. Quale puo' essere dunque un modo strategico per ingaggiare la nostra stimolazione sui social e portarla verso la scoperta di un mondo in cui scoprire punti di vista nuovi nonchè qualcosa di non specificatamente utile?
Il potenziale della qualità
Il giornalismo di qualità oggi, ingaggiando un volume mai visto prima di potenziali lettori grazie alle piattaforme, ha l'opportunità di attrarre l'attenzione soprattutto dei più giovani e può sfruttare l' “hook”, l'amo che rappresentano i social per portarli in ‘altri mondì. Con un click dal social media feed verso il mondo ‘nuovò del giornale virtuale e fisico, con cui anche oziare e perdersi. Quel momento di informazione e lettura nella quiete, nel viaggiare tra le storie del mondo, staccandosi da un feed di priorità ma scovando e, inaspettatemente, imparando fatti nuovi, semplicemente sfogliando le pagine del giornale.
È una occasione per i gruppi editoriali di espandersi e testare nuovi formati abbastanza attraenti per un pubblico in costante evoluzione, con abitudini diverse ma non per questo che “non legge”. Legge eccome, solo in modo differente. La scuola ha un ruolo fondamentale in questa dinamica. Educare a un utilizzo consapevole della tecnologia e delle piattaforme - e quello che possono offrirci di positivo, riuscendo ad andare al di là dello scrollare passivamente ma arrivare allo sfogliare attivamente. Lentamente, oziosamente, con un equilibrio tra mondo online e offline, tra otium e negotium, uscendo dal feed.
(*) Head of business development - Financial Times
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