Sofferenze in cerca del prezzo «giusto»
di Morya Longo
4' di lettura
Ci ha provato prima il Fondo Atlante. Ora ha lo stesso obiettivo la bad bank europea proposta dall'Eba: «riprezzare» il mercato dei crediti in sofferenza. Viene da chiedersi: è possibile? Quale potrebbe essere un prezzo equo per le sofferenze?
Perché per le banche italiane il problema dei crediti deteriorati non è solo legato all’ammontare enorme che grava nei loro bilanci, ma anche al valore stesso dei crediti. In un Paese in cui il sistema giudiziario è lento e in cui gli istituti creditizi non hanno mai informatizzato la gestione delle sofferenze, recuperare i prestiti andati a male diventa più lungo e più incerto rispetto ad altri Paesi. Questo ha l’effetto perverso di svalutare i crediti deteriorati molto più in Italia che all’estero.
Anche per questo gli investitori interessati ad acquistare crediti in sofferenza (operatori specializzati) offrono prezzi molto bassi. Andrea Enria dell’Eba propone dunque di cambiare paradigma: creare una «bad bank» che non compri i crediti deteriorati al valore di mercato ipersvalutato, ma a quello che lui definisce «un valore reale economico». L’idea è condivisibile. Auspicabile. Ma bisogna chiedersi: come può essere determinato questo valore “equo”? E quanto potrebbe essere? Gli addetti ai lavori stimano che possa essere tra il 25 e il 30% del valore originario del credito. Ecco perché.
Avvoltoi o freddi calcolatori?
Il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha svelato che in Italia, negli ultimi 10 anni, le banche hanno recuperato mediamente il 43% dei crediti in sofferenza. Questo significa che su 100 euro di prestiti finiti in sofferenza, le banche sono riuscite a recuperare 43 euro e hanno perso 57 euro. Considerando che questi crediti nei bilanci sono già svalutati intorno a queste percentuali, le banche non dovrebbero perdere ulteriormente. Però i fondi specializzati pretendono di comprare sofferenze in Italia a un prezzo che non va oltre il 20% del valore originario dei crediti. Chiedono insomma alle banche di perdere altri soldi, per comprare i crediti a un valore che è pari alla metà di quello ragionevole di recupero.
Perché? Il 20% non è un prezzo casuale, ma dettato dal fatto che questi fondi valutano (e prezzano) tre elementi: «Il recupero atteso dalle sofferenze, il tempo necessario per recuperare e il costo da sopportare per farlo», spiega Paolo Strocchi, presidente di Fbs spa, operatore di lungo corso sul mercato. Il calcolo dei fondi specializzati è questo. Supponiamo che dai crediti in sofferenza alla fine si recuperi - come certifica Bankitalia - effettivamente 43 euro su 100. Il primo problema è che recuperare 43 euro in 8 anni non è come recuperare 43 euro in due anni: dato che in Italia i tempi sono lenti, il prezzo delle sofferenze si svaluta. A questo punto bisogna considerare, per determinare il valore di acquisto, i costi per recuperare i crediti: i fondi che li comprano devono infatti assumere avvocati e professionisti che vadano a lavorare ogni singolo prestito. Questo costa. Ecco dunque che i crediti si svalutano ulteriormente. Infine i fondi vogliono anche guadagnarci, mediamente tra il 10-15% l’anno. Per sperare di realizzare questi ritorni, considerando i tempi e i costi, devono per forza comprare a 20 euro qualcosa che - prima o poi - permetterà di incassare 43 euro. Così ragiona il mercato.
Esiste un prezzo «equo»?
A questo punto bisogna chiedersi se possa esistere un prezzo «economico reale», come dice Enria dell’Eba, diverso dal prezzo di mercato. «Se si suppone che un fondo di sistema ambisca a realizzare rendimento inferiore al 10-15%, ma intorno all’8%, questo farebbe salire il valore delle sofferenze dal 20% al 22% in un tempo di 4 anni - calcola a spanne Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Credit Management -. Si potrebbe arrivare forse al 25%-28% del valore originario dei crediti». «Io penso che il fondo europeo potrebbe arrivare a comprare Npl con uno sconto del 10% rispetto al valore di bilancio, dunque intorno al 30% del valore originario dei crediti», stima invece Strocchi di Fbs. Come si giri la frittata, insomma, le banche difficilmente potranno vendere i crediti in sofferenza al valore attuale di bilancio.
Anche perché in Italia ci sono così tanti problemi che il valore dei crediti necessariamente scende. Il primo è la lentezza della giustizia: calcola Mediobanca Securities che basterebbe ridurre di due anni i tempi delle procedure fallimentari (attualmente durano in media 7,8 anni in Italia), per alzare del 10-12% il valore dei crediti in sofferenza. Il secondo è l’inefficienza delle banche nel gestire questi crediti: «Se vuoi vendere un’auto, prima la lavi e la metti al meglio - osserva Strocchi -. Con le sofferenze bancarie andrebbe fatto lo stesso: un restyling dei portafogli da parte delle banche. Questo significa informatizzare le pratiche, suddividerle per tipo di credito e per area geografica». Tutto questo la maggioranza delle banche non lo fa: i documenti sono ancora in formato cartaceo, confusi e di difficile catalogazione. Anche questo pesa sul prezzo di vendita.
C’è poi un problema immobiliare. «In Italia ci sono ancora 500mila esecuzioni immobiliari pendenti, ma nel 2015 sono state chiuse aste per soli 12mila immobili», aggiunge Strocchi. «C’è anche un enorme problema legato agli immobili nelle aree suburbane - aggiunge Mignanelli -, che ormai sono molto svalutati». Insomma: la bad bank europea, ammesso che funzioni, è una buona idea. Ma questo non deve distogliere l’attenzione dai tanti problemi che l’Italia - comunque - deve risolvere.
loading...