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È accattivante il sogno del robot che fa i compiti al posto nostro. Come si comporterà il Danny Dunn di domani? “Se solo potessi costruire una specie di robot che faccia tutti i compiti per noi”: questo è il sogno di Danny Dunn, il personaggio uscito dalla penna di Jay Williams e Raymond Abrashkin nel 1958, due anni dopo la comparsa del termine ‘intelligenza artificiale' (IA) coniato da John McCarthy. Da allora ad oggi è aumentata la capacità di eseguire compiti, sia in velocità che in accuratezza, e si è arricchita la specie di macchine create dall'IA. Un esempio per tutti è l'impresa cinese Baidu il cui l’algoritmo LinearFold AI prevede la sequenza di RNA del virus COVID-19 in soli 27 secondi, 120 volte più velocemente di altri metodi.
L'IA impara grazie all'apprendimento automatico (‘machine learning'). L’apprendimento profondo (‘deep learning') intende fornire all'IA la capacità di imitare la rete neuronale del cervello umano. C'è chi preannuncia macchine senzienti, dotate di sensibilità e autoconsapevolezza. Altri sono contrari alla progettazione di macchine che agendo con la leva dei sentimenti possano insultare e provare invidia e odio. Oggi, alle macchine reattive prive di memoria e specializzate in un campo specifico si sono aggiunte macchine che accumulando sempre più dati prendono decisioni corrette disponendo di esperienza e di memoria seppur ancora minima. Le une e le altre sono in grado di ridurre gli errori umani, ma non riescono a duplicare la creatività umana. Il Danny dei giorni nostri ha l'opportunità di risparmiare tempo nei compiti a casa ricorrendo alle macchine esistenti per potersi impegnare negli allenamenti di baseball. Contestualmente, egli deve interrogarsi su quanto tempo da spendere per interagire con le macchine e quanto dedicarlo a divertirsi creando. Sin da ora va fugato il dubbio che le vie dell’originalità umana possano essere addirittura precluse dal progresso dell'IA che si manifesta con l'esplosione dei contenuti da essa prodotti. In definitiva, l'interrogativo sulla creatività dell'IA va trasformato nella domanda se gli esseri umani ancora vogliano e sappiano esseri creativi.
Per svolgere compiti che siano di studio o di lavoro è discutibile approcciare l'IA vista come un fattore di produzione che dà impulso alla crescita economia. Essendo costosa da implementare, l'IA è soggetta alla variabilità del costo del denaro. Sarebbe bene, allora, riflettere sul pensiero dell'economista italiano Piero Sraffa (1898-1983), già Fellow del Trinity College di Cambridge, circa il capitale come fattore di produzione. Scrive Amartya Sen che ebbe Sraffa come mentore: «Sraffa [dimostrò] che la nozione comunemente usata di capitale come fattore di produzione, con un valore numerico, è profondamente illusoria e genera di per sé contraddizioni (a meno che non si facciano ipotesi molto particolari). Le tecniche di produzione non possono essere classificate in termini di maggiore o minore intensità di capitale, poiché le intensità di capitale, che dipendono dai tassi di interesse, possono invertire ripetutamente la loro posizione relativa man mano che i tassi di interesse vengono sistematicamente aumentati…. L’idea di “più” o “meno” capitale diventa così confusa, il che rende difficile trattare il capitale come un fattore di produzione».
Alla preoccupazione sul “più” o sul “meno “ di IA va sostituita l'attenzione sulla qualità dell'evoluzione del rapporto tra questa e l'intelligenza umana, tale che la nostra creatività conservi la guida verso il futuro. Modi di apprendere e pensare indipendentemente dalle macchine ci permetteranno di accedere ad esperienze sconosciute che amplieranno l'orizzonte della conoscenza. I metodi educativi devono facilitare l'apprendimento delle competenze trasversali, le ‘soft skill' che ci contraddistinguono nettamente dal regno delle macchine. Nei nostri tratti distintivi rientrano, con l'empatia e la sensibilità, il pensiero critico, la comunicazione verbale e la negoziazione. Per tornare al nostro Danny, a stimolargli il pensiero creativo non è il robot che si impegna in vece sua. Lo è un altro essere senziente: il gatto, musa ispiratrice di tanti creatori. Sono rivelatrici le parole della scrittrice scozzese Muriel Spark (1918-2006) nella sua novella A mille miglia da Kensington: << Da solo nella stanza in cui lavorate... il gatto salirà invariabilmente sulla scrivania e si sistemerà placidamente sotto la lampada da tavolo. La luce della lampada da tavolo... dà al gatto una grande soddisfazione. Il gatto si sistemerà e sarà sereno, con una serenità che supera ogni comprensione. E la tranquillità del gatto si ripercuoterà gradualmente su di voi, seduti alla vostra scrivania, in modo che tutte le qualità eccitabili che impediscono la vostra concentrazione si compongano e restituiscano alla vostra mente l’autocontrollo che ha perso>>.piero.formica@gmail.com
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