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Solo una «AI inclusiva» ci salverà dalle distorsioni della AI

Occorre agire rapidamente per diffondere una cultura di consapevolezza e attenzione su ogni aspetto di questa tecnologia

di Luca Lisci *

(AFP)

7' di lettura

L’intelligenza artificiale sta da già da diverso tempo trasformando i più disparati settori economici: dalla medicina all’energia, dai trasporti al commercio, nella gestione dei processi aziendali e nell’erogazione dei servizi on-line più comuni, come ad esempio nei social media e nell’e-commerce. Ma solo recentemente questa tecnologia è arrivata ad essere direttamente accessibile al pubblico come strumento di assistenza personale per uso privato sotto forma di agente conversazionale generativo; ovvero di automa che si avvale della capacità di gestire il linguaggio per interagire con l’utente producendo contenuti ex-novo.

Diventando per molti e molto rapidamente, un punto di riferimento nella vita quotidiana: capace di elaborare un concetto, di consigliare un comportamento, di analizzare una situazione. Modificando radicalmente il modo in cui lavoriamo e ci relazioniamo con la realtà. Una grande rivoluzione che, come tutte le grandi rivoluzioni, porta con sé grandi aspirazioni e grandi timori.

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Certamente i benefici della AI sono enormi. Tuttavia, per garantire che gli impatti positivi dell’AI siano equamente distribuiti e accessibili a tutti, e contemporaneamente si minimizzino i rischi collegati ad un uso improprio, occorre agire per diffondere una cultura di consapevolezza e attenzione su ogni aspetto di questa tecnologia, riflettendo su quanto sta avvenendo ed elaborando strategie di equilibrio rispetto alle crisi sociali e private che questa grande rivoluzione inevitabilmente comporta.

Abbiamo assistito in questi anni all’evolversi della complessità dei sistemi digitali che governano le infrastrutture su cui si basano le economie avanzate: l’Intelligenza Artificiale è la tecnologia che consente di risolvere e superare i limiti di questa complessità, di fatto ponendo la AI come strumento di leadership nelle economie digitalmente competitive. Basti pensare quanto le crescite esponenziali dei protagonisti della new economy, come ad esempio quelli della prima generazione come Microsoft, Amazon, Meta, Apple o Google, ma anche i più recenti come Uber, Airbnb, Satispay, SalesForce , debbano alla raccolta dei dati e nella capacità della AI di sfruttarli estensivamente, sino al punto di provocare la ristrutturazione degli ecosistemi di value chain nei quali sono collocati.

Innegabile l’impatto trasformativo della AI degli ultimi anni nei processi di logistica, retail, comunicazione, mobilità, manifattura, energia. Ma solo ora la AI diventa un fenomeno che emerge all’attenzione del pubblico che nell’accedere alle nuove Intelligenze Artificiali generative si rende conto di quanto sia rilevante nel proprio quotidiano averne libero accesso per un uso privato. Ognuno di noi si rende conto del valore della AI nell’istante in cui la AI diviene accessibile. Nei primi minuti di una conversazione con ChatGTP diventa palese di quanto la AI influisca e possa influire sempre più sul nostro modo di stare al mondo.

L’applicazione della AI è diventata di conseguenza un tema così importante da arrivare a sollevare l’interesse diretto della politica, che non può fare a meno di rilevarne l’impatto dirompente su questioni morali, sociali e culturali, una fra tutte la tutela del principio di privacy dei cittadini/consumatori. É esempio di questa attenzione della politica l’atto della presidenza americana che, ritenendo TikTok rischioso per la sicurezza nazionale, ne proibisce l’uso dei dispositivi assegnati ai funzionari del governo federale, non prima di avere chiesto a ByteDance, l’azienda cinese che l’ha fondata, di cederne la proprietà ad aziende americane.

Oppure la mossa del Garante della Privacy italiano che solleva la questione della tutela dei dati degli utenti italiani, intimando a OpenAI di porre rimedio alle gravi lacune di ChatGPT sul rispetto dei più basilari principi di regolamentazione, ricevendo come risposta dalla stellare startup americana, valutata 29 miliardi di dollari, la chiusura immediata del servizio agli utenti che vi accedono da server collocati sul territorio italiano.

D’altra parte, l’AI non arriva solo ad essere uno strumento di vantaggio nella competizione globale, ma è anche una tecnologia che per la sua profondità ricodifica il DNA di quella competizione, e pertanto non sfugge a meccanismi di tipo esclusivistico. Che siano generati da azioni di spinta verso la concentrazione di mercato, o che siano piuttosto incidentali per effetto della altissima velocità di propagazione della AI nei diversi ambiti - ChatGPT ci ha messo due mesi soltanto per raggiungere i 100 milioni di utenti! - quei meccanismi esasperano le differenze fra coloro che sono abilitati all’accesso e qualificati nell’uso delle tecnologie di Intelligenza Artificiale e quelli che non lo sono, con conseguente disuguaglianza economica e disoccupazione strutturale.

È innegabile l’impatto negativo che ogni esclusività, limitazione o inibizione all’accesso a questa tecnologia non solo vanifica le speranze per una prosperità diffusa, per un futuro migliore per tutti, ma ne tradisce il proposito originale: la AI nasce per amplificare le possibilità di andare oltre i limiti dell’essere umano, non per vincolarsi ad essi. Segnatamente il divario digitale - digital divide - nell’era della AI cambia significato: l’accesso limitato o l’usabilità inadeguata delle tecnologie AI rendono profondissimo lo scarto competitivo tra le comunità svantaggiate e quelle più abbienti, aumentando le disuguaglianze sociali ed economiche, ma è ancora più pericoloso il monopolio della AI in quelle comunità che, pur essendo digitalmente sviluppate, non sono sufficientemente competitive da potersi dotare di un uso controllato e consapevole di questa tecnologia.

Open source vs. Closed source: diversi approcci all’evoluzione dell’AI
Gli approcci open source e closed source nell’evoluzione dell’AI rappresentano due visioni distinte sulla distribuzione e l’accesso alla conoscenza e alle risorse nel campo dell’Intelligenza Artificiale. L’approccio open source favorisce la condivisione della conoscenza e del codice sorgente, permettendo a un’ampia comunità di ricercatori, sviluppatori e utenti di collaborare e contribuire allo sviluppo dell’AI. Progetti aziendali come TensorFlow di Google e PyTorch di Facebook sono esempi di framework open source che hanno reso l’AI accessibile a un pubblico più ampio e hanno accelerato l’innovazione nel campo. Ancora più apprezzabili sono progetti di community non-commerciali come ad esempio il francese Bloom, o The CheshireCat, un progetto interamente italiano.

Questa filosofia di condivisione può contribuire a democratizzare l’AI e ridurre il potere e il controllo dei pochi sui molti. L’approccio closed source prevede che l’AI sia sviluppata e distribuita da aziende che mantengono il controllo esclusivo sul codice sorgente e sulle risorse collegate. Questo modello può limitare l’accesso all’AI e favorire la concentrazione del potere nelle mani di un ristretto gruppo di attori, con possibili effetti negativi sulla concorrenza e l’innovazione.

Un esempio di questo approccio è DeepMind, una sussidiaria di Alphabet Inc., che ha sviluppato AlphaGo e altri avanzati sistemi di AI mantenendo il controllo sulle tecnologie sottostanti.

Intelligenza Artificiale accessibile a tutti: influenza sul comportamento di massa
Anche rendendo l’AI accessibile a tutti non sfuggiremmo a considerevoli impatti sul comportamento di massa. Ne abbiamo fatto ampia esperienza nella storia dei social media. Un esempio concreto è il caso di Cambridge Analytica, avvenuto nel 2018. La società di consulenza politica ha utilizzato i dati di milioni di utenti di Facebook per creare profili psicografici dettagliati, influenzando le campagne politiche come le elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e il referendum sulla Brexit nel Regno Unito. Questo evento ha messo in luce come l’AI, unita alla raccolta di dati su vasta scala, possa essere utilizzata per manipolare il comportamento delle masse e influenzare la sfera politica.

L’impiego di algoritmi di raccomandazione personalizzati su piattaforme come YouTube e Twitter ha contribuito all’aumento della polarizzazione e della formazione delle cosiddette “echo chambers” - o camere d’eco - ovvero interazioni all’interno del social media in cui un utente viene portato a visualizzare prevalentemente contenuti coerenti con le sue convinzioni e ideologie, e ad interagire maggiormente con altri utenti che condividono le stesse opinioni, con effetti negativi sul dialogo pubblico e sulla democrazia.

Nei tempi recenti l’uso della AI nei Social media si è ulteriormente raffinato, rendendo ancora più evidente quanto questa tecnologia inevitabilmente modelli la percezione che abbiamo del mondo che ci circonda: ad esempio, il social media TikTok analizza i dati generati dagli utenti per identificare per ciascun contenuto pubblicato le tendenze emergenti, i comportamenti collegati e le preferenze in base alla demografia. Queste informazioni vengono utilizzate dalla AI per indirizzare gli utenti a produrre contenuti di tipo popolare o in crescita di attenzione.

Ciò che avviene nei Social Media ci allerta su cosa potrebbe avvenire ora che la AI diventa uno strumento diretto ad uso degli utenti che possono aumentare esponenzialmente le loro capacità di costruire contenuti. Immaginiamo come possa trasformarsi a breve lo scenario globale con l’adozione su vasta scala della nuova generazione di AI, di cui sono primi esempi in continua evoluzione i grandi modelli di linguaggio come GPT, LLaMA, Chinchilla e Bloom o programmi di text-to-image AI come Midjourney, DALL-E e Stable Diffusion, o piuttosto AI multimodali come GEN-2 che generano nuovi video dai testi, immagini o filmati forniti dall'utente.

È importante a questo punto della storia della AI passare dal mero concetto di accessibilità ad un approccio verso l’inclusività. Nell’inclusività si fornisce all’utente la via per appropriarsi di questa tecnologia in equilibrio con la propria sfera sociale, mentre nel concetto di accessibilità rimane solo la possibilità di usarla, ma senza badare agli impatti dell’uso. Osserviamo per esempio la AI conversazionale applicata alla comunicazione. Lo scenario presenta opportunità estremamente positive, per esempio con la possibilità della AI generativa di amplificare la capacità di auto-espressione dei singoli, che possono utilizzare lo strumento per incrementare vertiginosamente la propria capacità di produzione di contenuti. Ma è altrettanto vero che lo scenario cambia in senso negativo, per il sopraggiungere di un vero e proprio tsunami di contenuti che rischia di seppellire notizie e dati importanti sotto quantità inimmaginabili di contenuti e informazioni irrilevanti e ridondanti o, peggio, false.

La AI può diventare lo stesso rimedio del problema che crea: è possibile comprendere il nostro destino in questa tumultuosa nuova era dell’infosfera, come la definisce il filosofo Luciano Floridi, solo se prendiamo atto di non essere in grado di affrontarla senza l’aiuto di strumenti di analisi e linguaggio artificiali capaci di ricercare e valorizzare per noi, e con noi, le vie della prosperità all’interno di questo complesso, altrimenti incomprensibile, contesto.

Se sarà necessario avvalersi di una AI per sopravvivere all’epoca della AI è davvero importante che questa tecnologia sia accessibile e comprensibile a tutti, non solo quando viene distribuita, ma anche quando viene progettata e realizzata. È fondamentale in tal senso adottare criteri di accessibilità, di partecipazione e di rappresentanza in modo che vengano rispettate le esigenze, i valori e le diversità di tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro origine, genere, età, abilità o condizione sociale. Solo la AI inclusiva ci salverà dalla AI.

* Amministratore delegato e fondatore di Next Present

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