Solo un bar su due rimane aperto per più di 5 anni. Fipe: modello da ripensare
Secondo Confcommercio, in 10 anni il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15 mila unità e ogni anno almeno 10mila sono le imprese che cessano l’attività
di Emiliano Sgambato
2' di lettura
Dal 2012 ad oggi il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15 mila unità e ogni anno almeno 10mila sono le imprese che cessano l’attività. Il risultato è che il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei bar non raggiunge il 50%, ossia su 100 imprese che avviano l’attività ne sopravvivono meno di 50 a distanza di cinque anni.
Lo rende noto la Fipe nel corso della tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che organizzato durante Sigep 2023 a Rimini. Nel settore lavorano oltre 300 mila persone con una forte diffusione territoriale (2 imprese ogni mille abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura 7 giorni su per una media di 14 ore giornaliere.
E dove è in aumento la presenza di imprenditori stranieri con una particolare vivacità della comunità cinese. Sono oltre 12 mila, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri con punte che in alcune regioni come la Lombardia sfiorano il 20% o addirittura lo superano come in Veneto e in Emilia Romagna.
«Stanno in questi numeri – dichiara Matteo Musacci, vice presidente di Fipe Confcommercio – le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro – prosegue Musacci – sta diventando sempre più difficile. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti».
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