Sono 30mila le varietà vegetali protette dall’Agenzia europea
Alla guida dell’ente è stato chiamato un italiano, Francesco Mattina: l’obiettivo primario è garantire la sicurezza alimentare
di Alessio Romeo
3' di lettura
Piante ornamentali, cereali, colture orticole e frutta. Sono quasi 30mila varietà vegetali protette a livello europeo per garantire il miglioramento della ricerca agricola con un sistema di tutela valido in tutta l’Unione e riconosciuto nella maggior parte degli accordi commerciali. La banca, o meglio il registro con l’elenco completo è tenuto da un’agenzia Ue ad Angers, nella regione della Loira in Francia.
Su oltre 40 agenzie dell’Unione è la sola, insieme all’Euipo di Alicante, in Spagna, incaricata della registrazione dei marchi, a occuparsi di diritti di proprietà industriali. Da quest’anno è guidata da un italiano, Francesco Mattina, che si è assunto tra gli altri il compito di promuovere la conoscenza dell’agenzia in uno scenario economico che ha riportato alla luce l’importanza strategica, spesso data per scontata soprattutto negli ultimi decenni in Europa, della sicurezza alimentare.
Istituito nel 1995 (in parallelo con l’Euipo) con il compito di «fornire e promuovere un efficiente sistema di diritti di proprietà intellettuale che supporti la creazione di nuove varietà vegetali a beneficio della società», l’Ufficio comunitario delle varietà vegetali (Cpvo) è un sistema di protezione dei diritti intellettuali delle innovazioni colturali, che concede diritti di proprietà intellettuale validi in tutta l'Unione europea per nuove le varietà vegetali. Una sorta di ufficio di tutela dell’innovazione agricola, per proteggere la ricerca attraverso brevetti concessi sotto forma di privative.
«Le nuove varietà vegetali sono frutto di un processo innovativo, lungo e costoso. La tematica dell’innovazione non può essere ignorata – spiega Mattina – quando si parla di emergenza clima e emergenza siccità nessuno dice che senza nuove e migliori varietà che consentono alle piante di resistere meglio a condizioni estreme, non si può fare niente. Tutto ciò che abbiamo nei nostri piatti deriva dall’innovazione».
La legislazione europea non permette però la protezione delle nuove varietà vegetali attraverso il brevetto. Una scelta che deriva dai vincoli di uno dei trattati costitutivi del Wto. «Il nostro è dunque l’unico sistema di protezione riconosciuto a livello Ue per le varietà vegetali. Il sistema – spiega ancora Mattina – esiste in parallelo con quelli nazionali, quindi un’azienda che sviluppa una nuova varietà può scegliere il sistema nazionale o quello europeo. Per la gran parte le privative vengono chieste a livello europeo perché il mercato è unico e anche il commercio delle varietà è internazionale, anche se ci sono settori di nicchia dove ha ancora senso la protezione nazionale, come a esempio alcune piante ornamentali in Olanda che interessano prevalentemente il mercato interno. I costi non sono proibitivi neanche per le piccole e medie aziende, si spendono 450 euro per avere la protezione in 27 Stati membri».
Non solo sementi, la nuovo varietà può essere un fiore, un albero o la vite. Spesso è frutto di incroci e selezioni avvenute anche con l’assistenza dei laboratori, ma non si parla di organismi geneticamente modificati, di fatto vietati in Europa mentre tutto il mondo della ricerca attende il via libera alle nuove biotecnologie, che scontano un vuoto normativo che ha costretto la Corte di giustizia Ue a estendere i divieti previsti per gli Ogm alle nuove tecniche di evoluzione assistita. Con danni a tutto il sistema della ricerca, soprattutto in Italia, un tempo all’avanguardia in questo settore in particolare su cereali e orticole.
«Non vedo come si possa pensare di attuare le nuove strategie europee sulla sostenibilità dell’agricoltura previste dal Geen Deal senza l’utilizzo delle nuove biotecnologie. È impensabile ottenere questi risultati senza l’innovazione – sottolinea Mattina –. In Italia abbiamo perso una leadership storica nell’innovazione varietale, che ora viene soprattutto dalla Francia». La protezione non riguarda le varietà antiche che qualsiasi agricoltore può utilizzare apertamente.
«Ma un agricoltore che ha bisogno di mettere a reddito la sua produzione ha la necessità di varietà performanti in grado di garantire una buona resa. Quello che è importante – dice Mattina – è dare alternative ai produttori, si può discutere come implementare politiche più eque ma senza demonizzare il sistema di protezione delle privative pensando di lasciare tutto libero, perché altrimenti chi la paga la ricerca, che è privata? In Italia le Università di Udine e Bologna sono le uniche dove si fa ricerca pubblica, non ricerca di base pura scollegata dall’industria. Udine è pioniera nello sviluppo di varietà ibride di vite che non richiedono uso di pesticidi (in un settore dove è generalmente molto alto) che ora sono protette dal Cpvo. Questo segna un cambiamento di mentalità importantissimo: il fatto che un’Università comprenda che la ricerca va protetta con le privative industriali e che queste possono ridare alle stesse Università risorse da reinvestire in ricerca. Nel caso di Udine i proventi delle royalties delle circa 20 varietà di vite protette sono la principali fonte di introito».
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