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Sono le politiche migratorie che alimentano il nesso tra stranieri e criminalità

Lo status legale delle persone determina la predisposizione a commettere un reato ben più della nazionalità

di Paolo Pinotti

L'Onu stima che i rifugiati ucraini siano già 5 milioni (Ap)

3' di lettura

Le immagini che ci arrivano tutti i giorni da Mariupol, Kharkiv e le altre città devastate dai bombardamenti russi hanno generato un’ondata di solidarietà nei confronti del popolo ucraino. Non è difficile immaginare che alla solidarietà potrebbe sostituirsi, nei prossimi mesi, una crescente diffidenza – e in alcuni casi una vera a propria ostilità – nei confronti dei profughi in arrivo verso il nostro Paese. L’abbiamo già visto succedere in occasione di altri sanguinosi conflitti: Balcani, Primavere arabe, Siria, Iraq, Afghanistan, Eritrea e altri ancora.

Sulla base di un sondaggio condotto da YouGov in dieci Paesi europei nel Dicembre 2021 (solo due mesi prima dell’inizio del conflitto in Ucraina), l’immigrazione nel nostro Paese è ritenuta «eccessiva» dal 77% degli italiani – una quota superiore a quella registrata in tutti gli altri Paesi, alcuni dei quali ospitano un numero molto maggiore di immigrati stranieri. Il motivo principale di tale opposizione è la convinzione che l’immigrazione aumenti la criminalità: lo crede la metà degli intervistati, mentre solo uno su cinque è preoccupato delle sue ricadute sulle finanze pubbliche e non più di uno su dieci teme i suoi impatti su occupazione e stipendi. L’equazione immigrazione = criminalità è peraltro condivisa da una larga quota degli intervistati negli altri Paesi al di fuori dell’Italia. È quindi importante confrontare queste percezioni, così diffuse,
con la realtà dei dati.

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Negli ultimi tre decenni il numero di immigrati in Italia è aumentato di 8 volte, da 625 mila a 5 milioni. Durante lo stesso periodo, il tasso di omicidi è diminuito dell’80%, da 2,5 a 0,5 ogni 100mila abitanti – uno tra i più bassi del pianeta, metà di quello della Germania e un terzo di quello della Svezia. Altri reati per i quali abbiamo dati certi, per esempio furti d’auto e rapine, mostrano diminuzioni altrettanto marcate.

L’immigrazione non sembra dunque associata a un sistematico aumento dei crimini. Diversi rapporti del ministero dell’Interno confermano che il tasso di delinquenza degli stranieri regolari è sostanzialmente identico a quello dei cittadini italiani. Tuttavia, il quadro cambia radicalmente quando ci concentriamo sugli immigrati irregolari, che costituiscono una quota minoritaria degli stranieri presenti sul territorio (tra il 10 e il 20%, a seconda delle stime), ma rappresentano più dei due terzi degli stranieri arrestati per reati gravi.

IMMIGRAZIONE E OMICIDI IN ITALIA
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La relazione tra immigrazione e criminalità, così come le implicazioni che ne discendono per le politiche migratorie, dipendono dunque in modo cruciale dall’effetto dello status legale. Quest’ultimo consente l’accesso al mercato del lavoro e all’assistenza pubblica, favorendo percorsi di piena integrazione nel nostro Paese. L’assenza di tali opportunità spinge i cittadini stranieri verso il mercato del lavoro nero e, in alcuni casi, tra le braccia della criminalità organizzata. Ulteriori analisi che abbiamo condotto su dati forniti dal ministero dell’Interno e dal ministero della Giustizia confermano che la probabilità di commettere reati gravi si dimezza a seguito della concessione del permesso di soggiorno.

Questi risultati pongono i nostri governanti di fronte a una scelta, eminentemente politica, tra accoglienza e integrazione da un lato, e respingimenti ed espulsioni dall’altro. Tuttavia, i governi e parlamenti che si sono succeduti negli ultimi decenni si sono caratterizzati per una forte ambiguità tra queste due alternative.

I decreti flussi concedono permessi di soggiorno per motivi di lavoro a una minima parte (spesso non più del 20-30%) di coloro che ne fanno domanda; la maggior parte rimangono dunque sul territorio italiano in una condizione di illegalità. Richiedenti asilo e rifugiati attendono per anni le decisioni delle commissioni territoriali competenti in merito alla domanda di protezione. Durante questo periodo, circa un terzo di loro beneficiano di percorsi di integrazione economica e sociale garantiti dal Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), mentre i rimanenti due terzi sono ospitati in Centri di accoglienza straordinaria che non offrono lo stesso tipo di opportunità.

Alla luce di quanto detto in precedenza, periodi prolungati di esclusione sociale e incertezza giuridica alimentano il rischio di devianza ed illegalità.

In questa prospettiva, va salutata con favore la decisione, presa a livello europeo, di concedere immediatamente una protezione internazionale temporanea (della durata di un anno) ai profughi in arrivo dall’Ucraina. Allo stesso tempo, è necessario pensare a una strategia di lungo periodo, che richiede necessariamente scelte politiche nette.

Quello che non possiamo permetterci è il protrarsi di una politica migratoria a metà del guado, che integra solo una parte minoritaria degli stranieri nel nostro Paese – siano essi lavoratori o richiedenti asilo e rifugiati – e finge di ignorare tutti gli altri, alimentando in questo modo la formazione di pericolose sacche di esclusione e marginalità.

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