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Sostenibilità e impatto sociale, scendono in campo anche i piccoli brand

Le nuove generazioni si orientano all’acquisto di prodotti e servizi provenienti da marchi meno conosciuti, ma che si dimostrano più sostenibili

di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano

Un’immagine della campagna “Africa Milk Project”, progetto di cooperazione internazionale per l'autosviluppo promosso da CEFA in collaborazione con Granarolo, che ha visto la realizzazione di una latteria sociale situata in uno dei distretti più poveri della Tanzania

5' di lettura

La salute dell’orso marsicano oggi passa anche da una scatola di prodotti tipici abruzzesi. Così un imprenditore ha deciso di scommettere sulle subscription box, ossia sugli abbonamenti ricorrenti, aggregando le piccole realtà del territorio. È nata Broozy, impresa che coinvolge una filiera di una quindicina di realtà locali. La clientela è prevalentemente europea. La scatola è realizzata per l’85% con materiale riciclabile e acquistandola si sostiene il territorio. «Con una parte della vendita aiutiamo l’associazione di volontari che ogni giorno lavora per salvaguardare l’habitat dell’orso marsicano. Si tratta di progetti mirati e di impatto immediato», afferma Luca Perilli, fondatore di Broozy.

Dall’Italia al resto del mondo, nel segno della moda etica. È questa la storia di Endelea, divisa tra Milano e Dar es Salaam, capitale della Tanzania. Da qui parte la sfida di questa promettente b-corp che crea abiti e accessori in tessuti africani dal design italiano, con una parte dei ricavi che viene reinvestita in programmi educativi per studenti di design. «Abbiamo aperto il nostro headquarter con le nostre dieci sarte africane. Abbiamo scelto una zona comoda per tutte. L’open space ha una cucina con il frigo e stiamo migliorando lo spazio perché deve essere accogliente e inclusivo. Ci sono enormi sfide logistiche e organizzative, ma è questa la proposta di valore perché mettiamo al centro le persone più dei prodotti. Oggi le piccole realtà come la nostra giocano un ruolo di primo piano rispetto ai grandi player. Le nostre dinamiche di adattamento sono più agili, anche se non abbiamo budget rilevanti. Ma sostenibilità è anche visione», racconta Francesca De Gottardo, co-fondatrice e Ceo di Endelea.

La scelta sui brand minori e green

Ecco l’impronta sociale dei piccoli che diventano grandi pensando alla comunità. Si tratta di Pmi e cooperative d’eccellenza: sono quelle che il pubblicitario inglese Hugh MacLeod ha definito “global microbrand”: piedi ancorati al territorio con la capacità di scalare i mercati, scommettendo sulla responsabilità sociale. Che la strada sia quella maestra emerge anche dal rapporto “Consumer products and retail” di Capgemini Research Institute. L’indagine ha coinvolto 7.500 consumatori e 750 dirigenti d’azienda nel mondo ed evidenzia una forte correlazione tra sostenibilità e business.

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I dati rilevanti

Oggi il 79% dei clienti ha modificato le preferenze di acquisto in base a criteri di responsabilità sociale, inclusività e impatto ambientale. Il 53% dei consumatori – ma il dato arriva al 57% per la generazione Z – hanno iniziato ad acquistare prodotti di marchi meno conosciuti, ma più sostenibili. Quasi 7 consumatori su 10 hanno dichiarato che presteranno maggiore attenzione alla scarsità delle risorse naturali, mentre 6 su 10 hanno affermato che questa visione sarà permanente.

La fiducia si sposta sul locale: nella crisi di leadership che affiora dall’Edelman Trust Barometer 2021 – giunto alla ventunesima edizione e presentato al World Economic Forum di Davos – ci si affida nel 76% dei casi all’azienda sotto casa, dalla quale ben 8 intervistati su 10 si aspettano interventi su questioni sociali e ambientali. Un percorso che si accresce col coinvolgimento dal basso: la certificazione BCorp è partita come movimento nel Maryland e oggi è diffusa in 74 Paesi con quattromila realtà certificate nel mondo.

I casi italiani

Anche in Italia i progetti di successo si moltiplicano. Uno di questi parte da Bologna e oggi coinvolge tutta la regione Emilia-Romagna nella raccolta del latte materno per i neonati prematuri. “Allattami” è il progetto pubblico-privato senza scopo di lucro promosso sin dal 2012 da Granarolo, la più grande filiera italiana del latte partecipata in cooperativa da oltre 600 soci-allevatori, insieme al Policlinico S. Orsola di Bologna: negli anni sono stati raccolti 31.100 biberon, coinvolgendo 305 donatrici. Oggi le terapie intensive neonatali rifornite da Granarolo sono a Bologna, Ferrara e Parma.

Dorelan, eccellenza italiana nel bedding con un fatturato di 57,5 milioni di euro, ha promosso “I’m a dreamer”. Si tratta di un progetto sociale che ha dato una seconda vita a materiali di scarto – sono stati recuperati 1746 kg di tessuti provenienti da residui di produzione per una collezione di sei prodotti – e un’opportunità a persone svantaggiate. Il progetto è stato realizzato con l’Istituto Tecnico Saffi-Alberti di Forlì e l’impresa sociale CavaRei.

Comprare online aiuta la sanità e il territorio. È il progetto solidale BertO 5% promosso da Berto Salotti: il marchio brianzolo di divani nato nel 1974 e che oggi registra un fatturato di 10 milioni di euro, 55 dipendenti e cinque showroom monomarca, ha devoluto il 5% dei ricavi dell’e-commerce a favore della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, impegnata per fronteggiare l’emergenza. L’azienda ha promosso anche una donazione all’Avis Meda.

Ci sono poi le storie che, messe in circolo e online, possono fare la differenza. “C’è un vento nuovo, un mondo in cui rispettare la natura, con i suoi ritmi e i suoi equilibri, vuol dire rispettare tutti”: imprenditorialità, innovazione e passione sono gli ingredienti delle Storie di Skipper, la nuova campagna del marchio del Gruppo Zuegg, nato nel 1890 a Lana d’Adige come attività agricola familiare e oggi presente nel mondo. Storie ispirazionali di giovani imprenditori artefici di un cambiamento personale e sociale.

L’impatto sociale vale per tutti

«L’affermazione che tutte le imprese devono essere sociali è in linea con il concetto di impact investing e di integrazione tra stakeholders e shareholders. Non si tratta di una raccomandazione, ma di una prassi e di una condizione per lo sviluppo socio-economico e per la sostenibilità dell’ecosistema. Le Pmi sono imprese sociali perché, grazie alle strette relazioni tra loro e alle profonde radici nella comunità locale, costruiscono un sistema di valori comuni», afferma Giorgio Fiorentini, fondatore del master in management delle imprese sociali in SDA Bocconi e autore del nuovo libro “Tutte le imprese devono essere sociali”, edito da FrancoAngeli.

Un’evoluzione di consapevolezza tra aziende e consumatori aumentata con la sindemia. «Si è compreso che le risposte al contagio si basavano su comportamenti di singoli da uniformare in senso collettivo». Nel volume emerge come in Europa il 65% delle piccole imprese intraprenda percorsi di impatto sociale e si arriva al 70 % tra quelle di media dimensione. «Nel corso degli anni si è compreso quanto il welfare sia complementare allo sviluppo aziendale ed economico del sistema. Le aziende percepiscono la pluralità di servizi richiesti dalla comunità locale, che esige una risposta interconnessa, ampia, universale e non solo per categorie, verso un welfare universalistico integrato e omnicomprensivo», conclude Fiorentini. Il futuro delle azioni e delle relative narrazioni rilancia sempre di più un nuovo modello plurale del fare business.

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