Sostenibilità, estetica pop, impegno sociale: identikit del modello svedese
Modelli di business green, tutela dell'ecosistema artigianale e creativo. Catarina Midby, a capo della Swedish Fashion Association, racconta la moda scandinava.
di Chidozie Obasi
4' di lettura
Capsule collection a ridotto impatto ambientale, brand che virano verso produzioni locali e un approccio consapevole tout court, per resistere alla prova del tempo. I paesi nordici, con la Svezia in testa, costituiscono un modello di sostenibilità, in quanto gran parte del loro progetto ambientale ha origine negli anni Ottanta e deriva da una profonda crisi industriale.
Federica Marchionni, ceo di Global Fashion Agenda, il principale forum di comunicazione sulla sostenibilità nella moda, con sede a Copenhagen, sottolinea: «Il cambiamento climatico ha un effetto a catena, dall'economia alla salute umana. La nostra missione si basa sulla creazione di un'industria della moda complessivamente positiva, promuovendo la collaborazione nel settore per affrontare la natura multidimensionale della sostenibilità - dall’impegno politico e le pubblicazioni di leadership di pensiero, tra cui Fashion CEO Agenda e Fashion on Climate, ai programmi di impatto tra cui la Circular Fashion Partnership e il nostro Innovation Forum e Global Fashion Summit».
Le sfide fanno parte del cambiamento e a Catarina Midby (segretaria generale della Swedish Fashion Association, che organizza la Stockholm Fashion Week, dal 7 al 9 febbraio scorso) sono sempre piaciute. Una di queste è accrescere l'impegno dell'associazione in materia di capitale, con il ricavo di fondi statali per supportare le giovani promesse del design in calendario, e STICA (Swedish Textile Initiative for Climate Action), l'iniziativa a sostengo della moda e del tessile in collaborazione con la COP 26. «Quando la Stockholm Fashion Week e la Swedish Fashion Association hanno lanciato la prima partnership, pensammo di finanziare un progetto a tutela dell'artigianato svedese attraverso un impegno di carattere innovativo e inclusivo». Le abbiamo fatto alcune domande per mettere metto a fuoco questo ecosistema.
Che impatto ha avuto la pandemia sulla moda svedese? Quali reti di supporto sono state date ai designer?
Credo che, in generale, la pandemia non abbia influito drasticamente sul sistema, ma naturalmente eravamo preoccupati all’inizio di tutto questo, quando era in corso una diminuzione delle esportazioni e dei fatturati. Pensavamo poco alla sostenibilità e più alla sopravvivenza. Eppure i designer sono riusciti a mantenere il lavoro di sostenibilità e per alcuni di loro è migliorato. In questo contesto i finanziamenti del governo si sono aggiunte a reti di supporto già in essere come STICA, che opera con marchi di medie dimensioni.
Le pare sia emerso qualcosa in particolare questa stagione?
La nuova tendenza non è cosa indossare, ma come indossare: come si consuma la moda. C’è meno bisogno di comprare il nuovo. Le collezioni sono più piccole e più focalizzate – perché, all'interno di un guardaroba, oggi alcune cose si affittano e altre si comprano pre-loved. C’è una riscoperta delle collezioni passate immergendosi negli archivi dei brand. Per esempio, la collezione del Beckmans College of Art si è ispirato ai grandi stilisti, ma dando il proprio tocco di unicità. È un segno dei tempi. C’è più attenzione alla produzione locale (come fa Diemonde) e a riportare in Svezia al supply chain, anche per ovviare alla globale crisi dei trasporti e del reperimento delle materie prime.
Per quanto riguarda l'estetica?
Qui in Svezia, ma non solo, siamo tornati a celebrare una silhouette più snella, dopo aver abbracciato lo stile oversize per così tanto tempo. Stiamo optando per volumi e tagli più sagomati, più sexy.
Cosa distingue la moda svedese dagli altri mercati?
Abbiamo un’industria della moda molto essenziale. Lo stile scandinavo è nato con la moda svedese ed è iniziato da stilisti del calibro di Acne Studios, Filippa K, Hope, poi molti hanno seguito. Anche Totême. Tagli puliti, design funzionale, ecco perché la gente lo ama. Amiamo camminare, quindi tutto deve essere funzionale.
Quali sono i brand con l'approccio sostenibile più interessante?
Nomi come Our Legacy, Bite Studios, CDLP, Asket, Filippa K e Stand Studio continuano a dettare le tendenze, alternando una chiave contemporanea e minimalista a una più briosa e irriverente, diciamo pop, creando abiti in materiali deadstock (attraverso tecniche di upcycling a basso impatto ambientale) e da fibre prettamente naturali. Da segnalare per l'impegno sociale Diemonde, che per il prossimo autunno/inverno propone un'ampia gamma di tessuti leggeri e dalle cromie iridescenti prodotti in un'azienda che impiega rifugiati. Interessante anche Singular Society, il nuovo brand del gruppo H&M che funziona attraverso un modello di business alternativo: sottoscrivendo un abbonamento mensile, si possono acquistare un limitato numero di capi al prezzo di produzione.
E il bilancio sull'inclusività?
Siamo una società aperta, democratica. Quando si tratta di moda, abbiamo un continuo dialogo in corso. Attraverso Changers Hub (che si occupa di lavorare con i giovani che vogliono entrare nel mondo della moda), le aziende possono assumere stagisti e noi della Swedish Fashion Association cerchiamo di fare da ponte e metterli in contatto. L’industria della moda deve andare di pari passo con l’istruzione, va data alle persone la possibilità di costruirsi dall’inizio. Senza discriminazioni.
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