Sostenibilità, la moda cerca nuova centralità nelle decisioni Ue sulle norme
La European Fashion Alliance ha chiesto al Parlamento europeo modifiche alle norme in corso di dibattito che potrebbero limitare la creatività dei brand di fascia alta. Temi chiave: la differenza con il fast fashion, l’uso di materiali durevoli e riciclabili, le informazioni nel passaporto digitale
di Marta Casadei
3' di lettura
«Bisognerebbe organizzare una sfilata in Parlamento. Come vedete, organizziamo già un Film Festival internazionale in questi giorni». Potrebbe sembrare una boutade quella di Christian Ehler, tedesco, parlamentare europeo dal 2004 e ora coordinatore del Ppe nella commissione Industria ed Energia, pronunciata a margine del primo incontro ufficiale con i membri dell’Efa a Bruxelles, alla presenza del commissario al mercato Interno Thierry Breton, lo scorso 7 giugno. È invece un’espressione che rende al meglio l’idea di come la moda debba pretendere i suoi spazi nell’agenda delle istituzioni europee: «Il settore impiega 5milioni di persone e vale l’11% del Pil europeo», ha sottolineato Breton durante l’incontro mettendo l’accento sul bisogno che il sistema ha di essere preso in considerazione anche a livello politico.
Tre legislazioni nel focus dell’industria
I temi sul piatto, del resto, sono tanti. Tre provvedimenti allo studio dell’Unione, con l’obiettivo di limitare l’impatto ambientale di un settore altamente inquinante, avranno un influenza diretta sull’industria della moda a ogni livello: il regolamento Espr, che punta a estendere la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili anche alla moda, e che, dopo l’approvazione della bozza da parte del Consiglio il 22 maggio è oggetto di valutazione del Parlamento in attesa della plenaria del 20 luglio; la proposta di direttiva Due diligence sulla sostenibilità delle imprese (Csdd), approvata dai deputati europei il 1° giugno, che investe le aziende della responsabilità dei danni eventuali cagionati (con sanzioni fino al 5% del fatturato) e la proposta di direttiva Green Claims, pubblicata dalla Commissione il 22 marzo scorso, che andrà a colpire il greenwashing.
Capasa: «La Ue consideri specificità della moda creativa»
Sono proprio queste legislazioni - Ecodesign in testa - ad aver spinto le camere della moda a unire le proprie forze e ad accelerare il dialogo con l’Europa: «Sia io sia Pascal Morand (presidente della Fédération française de la couture, ndr) siamo andati a Bruxelles in passato, ma le istanze dei singoli non vengono prese in considerazione come quelle collettive», spiega Carlo Capasa. La prova che l’unione fa la forza è che a soli 10 mesi e un incontro “fisico” tra i membri dalla creazione della European Fashion Alliance (Efa, che ha un presidente tedesco, Scott Lipinski) l’associazione ha all’attivo un incontro con la commissaria all’Innovazione e alla Ricerca Maryia Gabriel e una tavola rotonda ufficiale a Bruxelles organizzata dal già citato Ehler.
«Vogliamo che l’Europa prenda in considerazione le specificità della moda creativa - spiega Capasa, presidente Cnmi - mettendo nero su bianco la differenza con il fast fashion. Temi come la durabilità dei materiali o l’utilizzo di materiali riciclati entro il 2030 rischiano di influire negativamente sulla creatività. In questo secondo caso, per esempio, andrebbe fatta una distinzione tra materiali biodegradabili e non».
C’è poi il tema del passaporto digitale che sarà obbligatorio: «La tracciabilità della filiera è molto importante, ma va considerato che alcune informazioni sono sensibili» dice Pascal Morand, presidente della Fhcm, evocando il tema contraffazione. E Capasa gli fa eco: «E dovrebbe essere segnalato quando un capo è stato creato dall’AI».
Sul piatto anche 2,3 miliardi per l’industria creativa
Tutte queste indicazioni saranno contenute in un position paper che l’Efa consegnerà al Parlamento lunedi 12 giugno per partecipare attivamente alla discussione in corso. Dall’altro lato, l’atteggiamento delle istituzioni sembra aperto al dialogo: «Non vogliamo che i provvedimenti vadano dall’alto in basso - dice Ehler -, ma lavorare con i player del settore come è già successo in altri ambiti». E sul tema fondi dice sostanzialmente alle aziende della moda creativa di farsi avanti: «Per la prima volta l’Unione europea ha stanziato 2,3 miliardi di euro per la ricerca nella creatività (il Creativity Programme 2021-27): i fondi ci sono, anche per le piccole realtà o i giovani designer».
Al di là delle coperture, ciò che preme alle camere della moda è che «si mantenga la competitività: non possiamo avviare la transizione assumendocene i costi e poi permettere alle aziende extra europee di vendere qui merci che non rispettano queste regole», chiosa Capasa.
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