Soufflé, la metafora politica per le riforme del governo Draghi
Il ministro Brunetta: «Non bisogna fare errori, non bisogna aprire il forno». L’uso non sempre appropriato dell’immagine culinaria
di Riccardo Ferrazza
I punti chiave
3' di lettura
Non è la prima volta che la parola “soufflé” viene immessa nel dibattito politico ma al ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta va riconosciuto forse il merito di aver usata la metafora culinaria nel modo finora più appropriato. E per la prima volta senza la valenza negativa che di solito accompagna nel discorso pubblico lo “sgonfiotto”, secondo l’adattamento dal francese di Pellegrino Artusi nella sua «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene».
«Non aprite il forno»
Già a fine luglio Brunetta aveva avvertito che «l’uscita dalla crisi pandemica è condizione per la ripresa economica. C’è un soufflé che sta crescendo. Non dobbiamo aprire lo sportello del forno. Mai». Per ribadire che l’Italia è «in una congiuntura astrale irripetibile» nell’intervento al Forum Ambrosetti a Cernobbio di domenica 5 settembre il ministro ha spiegato alla platea: «Lo sapete fare il soufflé? Si mette in forno, si lascia lievitare, quello profuma e viene voglia di aprire per dare un’occhiata. Ma se apri, implode. Ecco, il governo è così: non aprite quella porta» ha detto aggiungendo alla ricetta anche una citazione cinematografica.
Spadolini e «body shaming»
Ai tempi di Palazzo Chigi Giovanni Spadolini diceva di divertirsi molto quando veniva paragonato per via della sua stazza a un soufflé ma apprezzava molto meno le curiosità sulla sua vita privata: «Le società anglosassoni rispettano la privacy, quelle latine sono più pettegole. Preferisco lo stile anglosassone» commentava. Dopo quarant’anni anche sulle sponde del Mediterraneo il confronto viene considerato non più accettabile nel linguaggio politico se applicato alle persone (“far vergognare del proprio corpo” secondo l’espressione inglese “body shaming”).
Tra Finanziaria e milleproroghe
Così il soufflé ha finito per indicare altro: la legge finanziaria che risveglia interessi locali e fa gonfiare il testo licenziato dal governo (Silvio Berlusconi, 2002) fino a renderlo simile a una vivanda cotta in forno con besciamella e chiare di uova montate a neve. Oppure il decreto milleproroghe, inteso come miscuglio di leggi sugli argomenti più disparati. Un Frankenstein normativo, per fare un salto di metafora. Un’immagine negativa da affiancare ad altri simboli alimentari variamente interpretati: dal pane da cucinare in due forni (Giulio Andreotti) alla più volgare “mangiatoia” (ultima citazione: Fratelli d’Italia a proposito del reddito di cittadinanza), in cui si dimentica ogni riferimento cristiano.
Menu regali
Ma qui si finisce per far torto al “soffiato” (adattamento italiano raro), preparazione culinaria degna di comparire nei menu di papi, re e presidenti della Repubblica. Un paio di esempi: negli archivi del Quirinale è annotato il soufflé ghiacciato al Grand Marnier servito ad Antonio Segni, ospite a Parigi dal generale Charles de Gaulle; un soufflé di arancio e ricotta venne fatto trovare a Benedetto XVI nella Nunziatura di Washington per il suo 81esimo compleanno.
Gli errori
«Non bisogna fare errori» è il senso del messaggio diffuso dal ministro della Pubblica amministrazione. «Se prevale la curiosità per vedere come cresce e si apre il portello del forno, lo sbalzo termico lo fa sgonfiare» ha detto in un’altra occasione durante l’estate. Ma non si devono neanche sbagliare ingredienti. Qualche tempo fa lo chef francese Marc Veyrat si era visto assegnare e revocare nel giro di un anno la terza stelle Michelin: aveva fatto causa alla guida chiedendo un risarcimento simbolico di un euro. «Hanno osato dire che abbiamo messo il cheddar nel soufflé», aveva spiegato lo chef, escludendo l’utilizzo del formaggio inglese a pasta dura: «Ho messo lo zafferano e il signore ha pensato che fosse cheddar perché era giallo». I giudici gli hanno dato torto.
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