LA DESTRA RADICALE

Sovranisti, quanti sono in Europa e cosa potrebbe succedere alle elezioni di maggio

di Alberto Magnani

Le Pen: "Non ci sarà lista unica dei sovranisti per le Europee"

4' di lettura

Alla vigilia delle elezioni in Baviera, lo scorso 14 ottobre, i media europei pronosticavano l’exploit dell’ultradestra di Alternative für Deutschland. È andata un po’ diversamente: a fare il boom è stato un partito all’estremo opposto dello spettro politico, i Verdi, mentre la Afd è scivolata da ambizioni di consenso al 20% un risultato che si aggira intorno al 10%. La metà esatta. Non è la prima volta che le urne sconfessano i sondaggi sulla «crescita dei populismi in Europa» in vista del voto nel maggio 2019. Eppure l’argomento resta caldo, se si considera che la crescita dei neofascismi in Europa è sbarcato anche in un dibattito alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo. La stessa assemblea che teme di risvegliarsi affollata di sigle sovraniste dopo le elezioni dell’Eurocamera, nel vivo di una crisi sta che indebolendo i macroschieramenti del centrodestra (Popolari) e centrosinistra (Socialdemocratici, mai così fragili nella loro storia ).

Ma è davvero così imminente l’exploit della destra radicale? Sensazioni e numeri offrono un quadro diverso fra loro. Se ci si limita allo status quo, le dimensioni del fenomeno sono molto più modeste di quello che emerge negli annunci. Secondo una stima di Politico.eu, una testata che si occupa di affari europei, il totale di partiti classificati come euroscettici «soft» (si vedano i “nostri” Cinque stelle) o «hard» (a cominciare dalla Lega) conquisterebbe oggi, a fatica, tra i 150 e i 170 seggi. Meno di un quarto delle 705 poltrone che saranno assegnate dopo il voto di maggio, il primo senza il Regno Unito e il suo drappello di parlamentari. La stima cala ancora nelle previsioni di altri istituti, ma non è detto che la contabilità dei seggi (e dei gruppi politici tradizionali) fotografi bene cosa potrebbe succedere prima delle elezioni di maggio.

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Quegli (almeno) 100 seggi in odore di sovranismo
In effetti la stima di Politico.eu sembra quasi eccessiva, rispetto alla media di rivelazioni fiorite a poco più di un semestre dalle urne. Pollofpolls.eu, un portale che monitora l’evolversi delle intenzioni di voto in Europa, ridimensiona la quota di voti «sovranisti» a poco più di 100 unità: 57 raccolti dai partiti che confluiscono in Europe of nations and freedom (Europa delle nazioni e delle libertà, Enf, la famiglia europea della Lega) e 50 a favore delle liste collegate a Europe of Freedom and Direct Democracy (Europa della libertà e della democrazia diretta, Efdd, il rassemblement che ospita al suo interno i Cinque stelle). La parte del leone spetterebbe proprio all’Italia, con un totale di 28 seggi in arrivo dalla Lega e 26 dai Cinque stelle. Un’infornata di consensi a rinforzo delle due famiglie che contano fra le proprie file il Rassemblement national di Marine Le Pen, l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland e altre sigle minori, ma abbastanza caratteristiche, come i polacchi di Nowa Prawica (un partito «radicalmente euroscettico» che invoca il ritorno alla pena di morte) e Svoboda a přímá demokracie, partito ceco da 1.400 iscritti che si batte soprattutto su contrasto a immigrazione e «islamizzazione del paese» (anche se non dall’Europarlamento, visto che alle scorse elezioni Ue il bilancio degli eletti è rimasto a zero).

A parte il nome, quasi identico, Enf e Efdd sono accomunate dall’unico fattore trasversale a tutte le sigle politiche racchiuse fra i due gruppi: l’euroscetticismo. La diffidenza per i «burocrati di Bruxelles», secondo alcuni analisti, potrebbe fare da collante e scavalcare le ostilità implicite a un gruppo composto da soli nazionalisti. A maggior ragione se la rivendicazione di maggiori poteri nazionali, altro cavallo di battaglia dei sovranisti, si traduce in progetti di «chiusura delle frontiere» e di freni sempre più rigidi alla libera circolazione delle persone.

Le basi comuni: euroscetticismo e anti-immigrazione
Resta l’handicap più evidente, quello numerico: si parla di coalizione che inciderebbe su un settimo o, al massimo un sesto, dell’Eurocamera. Poco per lasciare il segno, soprattutto se l’ambizione è di mettere mano sui principi fondativi del disegno comunitario. Ma c’è chi mette in guardia dalla semplificazione di considerare estremiste solo le forze che si qualificano esplicitamente come tali. Susi Meret, un’esperta di populismi in cattedra alla danese Aalborg University, fa notare che i comuni denominatori di euroscetticismo e campagne anti-immigrazione potrebbero gettare le basi per un’alleanza che superi la periferia destra radicale. Forze come il Rassemblement national (versione aggiornata del Front national di Marine) o il Danish people party, per citarne due, sono nel vivo di un processo di «normalizzazione» che corteggia il voto moderato. Senza contare che forze distanti dal perimetro del voto moderato, come Fidesz di Viktor Orban, restano stabilmente all’interno dei Popolari europei.

«Sono partiti che stanno cercando di rifarsi l’immagine, sdoganandosi verso nuove fette di elettorato - osserva Meret - Questo potrebbe portare alla creazione di coalizioni molto più ampie di quelle proiettate dallo status quo attuale». Sì, ma come si mette ordine fra partiti nazionalisti, per loro natura inclini a badare più agli interessi domestici che a disegni comunitari? Meret ipotizza che il cavallo di battagli condiviso sia quello di una «Europa minima»: svuotare l’Unione europea della sovranità acquisita su pilastri come giustizia, affari interni, immigrazione e, magari, gli stessi sistema Schengen e della moneta unica. Un progetto che soddisferebbe tutte le forze in campo, sorvolando i punti di attrito naturali. Ad esempio sui conti pubblici, terreno di scontro inevitabile fra il rigore del Nord Europa e le turbolenza del nostro governo per l’innalzamento del deficit. «Lì ci sarebbe sicuramente una forma di grosso contrasto - dice Meret- Che i nazionalisti vorrebbero risolvere portando la questione dei conti a un livello nazionale». Cioè fuori dai parametri di Maastricht. O, direttamente, fuori dall’Europa.

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