Sovranità digitale, valori dell’Europa e nuove frontiere
di Giusella Finocchiaro
2' di lettura
Oggi la riflessione sulle regole del digitale implica necessariamente una riflessione sulla sovranità. Fino a poco tempo fa, le regole sono state essenzialmente tecniche, nella duplice accezione di tecnico-informatiche e di tecnico-giuridiche.
Da un lato, la tecnologia ha dettato le modalità di interazione e veicolato implicitamente alcune soluzioni, secondo quella lex informatica che è stata teorizzata da Lessig e Reidenberg.
Dall’altro, il diritto si è sviluppato seguendo le regole dei contratti, configurando un nuovo ius mercatorum. La prima soluzione è dunque quella di una regolamentazione non diretta, non manifesta, non pubblica, ma invece celata nella tecnica. La seconda soluzione è, invece, quella costituita da un assetto giuridico dei rapporti che si sviluppa tutto nell’ambito dell’autonomia privata e del contratto. In entrambi i casi, uno degli obiettivi era quello costituito dal superamento dei problemi derivanti dall’applicazione delle leggi nazionali.
Gli Stati nazionali sono stati naturalmente assenti e molte sono state le giustificazioni possibili: la materia da regolare andava oltre le frontiere nazionali e quindi lo strumento normativo da utilizzare non era immediatamente disponibile.
La conseguenza è stata che la sovranità non è stata esercitata dagli Stati nazionali.
Gli organismi internazionali hanno prodotto soft law, come attesta la copiosa produzione dell’UNCITRAL (United Nation Commission on International Trade Law) nell’ambito del commercio elettronico.
Ma il vuoto è stato riempito.
La sovranità digitale, di fonte privatistica ed esercitata con strumenti tecnologici, si è espansa: così le regole sulle piattaforme digitali e progressivamente le forme di risoluzione delle controversie esercitate anche utilizzando gli strumenti informatici e l’intelligenza artificiale.
Dopo la cancellazione del profilo del Presidente degli Stati Uniti da Twitter, peraltro assolutamente conforme alle norme contrattuali, il problema è apparso in tutta la sua evidenza. Sono sufficienti le norme contrattuali e le disposizioni di fonte privatistica oppure occorre che i rapporti che sono suscettibili di una rilevanza pubblicistica siano disciplinati diversamente? In altri termini, se il tema è di interesse pubblico (comunicazione, informazione, fake news) occorre rivedere il modello giuridico di regolazione
degli interessi?
In questo senso si muove l’Unione Europea che intende consolidare il suo ruolo politico anche attraverso l’affermazione di un modello giuridico. Così ha fatto in materia di protezione dei dati personali con il GDPR, poi con il Digital Services Act e recentemente con la bozza di regolamento sull’intelligenza artificiale, nel quale
il legislatore europeo ribadisce l’importanza di
salvaguardare i valori europei.
In futuro, si potranno anche individuare nuove forme di dialogo, di confronto e, in prospettiva, di cooperazione internazionale, tenendo conto che, inevitabilmente, il modello regolatorio non potrà che essere multilivello. Si muoverà dai principi internazionali e dalle leggi dettate dall’Europa o da altre regioni del mondo, per passare attraverso le norme nazionali, relative per esempio alla vigilanza, per giungere alla disciplina del contratto. La tecnica sarà un veicolo -non sempre neutro- delle regole, e quello procedimentale potrà costituire il terreno di incontro fra i diversi approcci giuridici.
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