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La riforma delle aliquote Iva, contenuta nella delega fiscale, costituisce sicuramente una grande opportunità per modernizzare questo sistema impositivo, con lo scopo, tra l’altro, di soddisfare maggiormente le esigenze generali dei consumatori, e di perseguire politiche di rilevanza sociale, ambientale e di lotta all’evasione.
La riforma, però, deve rispettare i limiti che gli stessi Governi si sono imposti a livello di Unione europea, per quanto concerne il numero delle aliquote, la loro misura e i comparti agevolabili. Sotto quest’ultimo profilo, la direttiva 2022/542/Ue impone una tempistica stringente per alcune scelte fondamentali, individuando quali obiettivi prioritari l’ecosostenibilità, la digitalizzazione e la salute.
Proprio il compromesso tra regole e obiettivi è la vera sfida che attende il legislatore delegato, tenendo conto che dietro i singoli punti percentuali dell’Iva si annidano gli interessi delle categorie economiche, specie di quelle maggiormente esposte alla concorrenza sleale e a pericolosi fenomeni di evasione.
Entrando nel dettaglio di cosa si può e si deve fare per raggiungere gli obiettivi indicati, è necessario partire dal dato esistente e dalle difficoltà che quotidianamente gli operatori incontrano nell’applicare correttamente le aliquote.
Il primo intervento riguarda il superamento delle incertezze create dagli attuali testi normativi. Vanno riscritte le regole della tariffa per definire in modo più corretto i vincoli tra classificazione doganale e statistica dei beni e dei servizi, e i relativi livelli di imposizione. È importante, però, evitare eccessivi irrigidimenti, tenendo conto che con le aliquote ridotte si persegue anche un’omogeneizzazione del trattamento fiscale tra beni e servizi di natura e caratteristiche similari. Ad esempio, non è ragionevole vincolarsi alla nomenclatura doganale di un bene se questo, in base alle sue caratteristiche, assolve una specifica funzione sociale o sanitaria. Si pensi, in proposito, alle numerose risoluzioni relative all’aliquota applicabile agli integratori alimentari, oppure ai problemi che abbiamo avuto per applicare l’Iva al 5% sul latte per neonati.
Certo, un altro aspetto da non sottovalutare è la scelta del paniere di beni e servizi meritevoli di un’aliquota ridotta. In effetti, per questo bisogna considerare i limiti imposti a livello unionale: sia per quanto riguarda il numero (si possono avere al massimo due aliquote ridotte non inferiori al 5%, un’aliquota ridotta inferiore al 5% e un’aliquota zero con diritto a detrazione); sia per quanto riguarda la tipologia di beni e servizi cui è possibile applicare l’aliquota ridotta (la direttiva Iva 2006/112/Ce prevede un elenco tassativo nell’allegato III).
Qui le priorità del legislatore – leggendo la delega e la relazione di accompagnamento – sono rivolte a beni e servizi a rilevanza sociale e di interesse generale del consumatore finale. In questo senso, forse la delega dovrebbe osare di più, perseguendo in modo chiaro obiettivi di ecosostenibilità, e incentivando anche tutti gli strumenti che consentano l’accesso a servizi digitali, che superino le barriere del digital divide, e che perseguano finalità sanitarie. Su questi temi, il vero banco di prova sarà la trasposizione delle idee nei testi delegati.
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