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Spiagge, sulle concessioni il Governo studia la proroga al 2025

Per le autorizzazioni in gara si lavora a una transizione di due anni, rispetto alla fine del 2023. Sui servizi virata anti-concorrenza della maggioranza, esclusa però Italia viva

di Carmine Fotina

(wulwais - stock.adobe.com)

2' di lettura

Nel vortice delle riunioni di maggioranza sul disegno di legge per la concorrenza finora si è parlato praticamente di tutto fuorché del tema politicamente più esplosivo, le gare per le concessioni balneari. Non è una dimenticanza o semplicemente voler lasciare la contesa alla fine, il fatto è che una correzione è già allo studio ma si va avanti sotto traccia. Nei giorni scorsi, in occasione di un convegno a Riccione, il ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha definito ragionevole un periodo transitorio di ulteriori due anni, fino al 31 dicembre 2025, rispetto al termine delle proroghe attualmente fissato a fine 2023.

Le scadenze

Il ministero del Turismo sta effettivamente lavorando in questa direzione. La strada non è tutta in discesa: serve avere un via libera almeno informale dalla Commissione europea e va studiata la compatibilità con la sentenza del Consiglio di Stato che aveva limitato al 2023 le possibili proroghe rispetto alla scadenza fissata dal governo Conte-1 al 2033, ma la correzione è comunque in esame. Si accoglierebbero in parte le richieste parlamentari di modificare l’emendamento governativo che fissa i criteri della delega per l’impostazione delle nuove gare, portando come tesi la difficoltà di rispettare i tempi: i decreti delegati arriverebbero solo entro dicembre e resterebbe soltanto un anno per completare le procedure di gara in tutti i Comuni, senza considerare la necessità di completare la mappatura delle attuali concessioni.

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L’ipotesi transizione lunga

La transizione lunga sarebbe un modo forse inevitabile per uscire dallo stallo del Ddl, gravato da emendamenti trasversali per stralciare o posticipare le gare. Ma sarebbe al tempo stesso un colpo significativo all’intero provvedimento, che già rischia di essere ridimensionato nella delega per la riforma dei servizi pubblici locali. Ieri il tema è stato tra quelli al centro di un confronto tra il governo, con il sottosegretario a Palazzo Chigi Roberto Garofoli e il viceministro Mise Gilberto Pichetto, e i relatori del Ddl in commissione Industria al Senato (Stefano Collina del Pd e Paolo Ripamonti della Lega). La correzione allo studio cancella l’obbligo per gli enti locali di motivare in anticipo, all’Antitrust, la scelta di gestire i servizi in-house quindi senza gara. Resterebbe solo la motivazione ex post, già prevista e poco efficace ai fini concorrenziali. Ma non basta.

La motivazione a doppio senso

La maggioranza, con l’eccezione di Italia Viva fermamente contraria, propone addirittura una motivazione a doppio senso: gli enti locali dovrebbero motivare non solo l’in-house ma anche la scelta opposta di mettere i servizi a gara. Paradossalmente, una normativa meno pro-concorrenza di quella che è già in vigore.

Il golden power sulle concessioni idroelettriche

Sulle concessioni idroelettriche invece sarà privilegiato il partenariato pubblico-privato ma con la possibilità di blindare l’attuale assetto attraverso il golden power, cioè il potere di veto del governo. Il golden power dovrebbe essere esteso alle concessioni idroelettriche con un emendamento al Dl taglia-prezzi riformulando una proposta di Andrea Cioffi (M5S). Potrebbe poi essere stralciato l’articolo 32 sulle commissioni dei tecnici chiamati a selezionare i candidati per i componenti delle Authority, bocciato dalla commissione Finanze del Senato e osteggiato in pratica da tutti i partiti che vedono una riduzione del raggio d’azione del Parlamento.

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