Sportswear in crescita anche in Italia. Sneaker e athleisure trainano i conti
di Marta Casadei
4' di lettura
Running al parco, yoga all’aria aperta, pilates. E, ancora: Crossfit, Tabata, allenamento funzionale. Senza contare i grandi classici: tennis, calcio e calcetto, basket, pallavolo. E il nuoto e le discipline acquatiche. Domani si celebra la Giornata mondiale dello sport che, sempre di più, è parte integrante della routine quotidiana delle persone, complici la crescente voglia di benessere, di per sé incentivo a una vita sana e attiva, e un nuovo culto della bellezza e della forma fisica che si nutre di follower su Instagram.
Se secondo l’ ultima rilevazione Istat disponibile (2017), solo un terzo della popolazione italiana (20 milioni di persone) nel 2015 diceva di praticare un’attività - e un quarto della popolazione, poi, diceva di farlo regolarmente - negli ultimi quattro anni qualcosa potrebbe essere cambiato.
Il business dinamico in un mercato in stand by
Una delle cartine di tornasole dell’interesse crescente verso lo sport è il business, in crescita, dell’abbigliamento sportivo. In Italia, secondo il recente report “Sportswear in Italy” di Euromonitor International, nel 2018 il mercato ha toccato i 6,3 miliardi di euro, in salita del 2% rispetto all’anno precedente. La crescita è leggera, certo, ma va inquadrata in un contesto come quello italiano, dove i consumi di abbigliamento-moda sono negativi ormai da anni. Nel prossimo futuro, poi, secondo le stime di Euromonitor, i l tasso di crescita dovrebbe aumentare al 3% di media annua.
Le vendite mondiali in forte crescita
Allargando il focus a livello geografico, lo sportswear assume ben altre dimensioni: il valore globale del mercato ha toccato i 335 miliardi di dollari (298 miliardi di euro al cambio attuale), circa 100 miliardi di dollari in più (+41%) rispetto al 2013.
Nel 2018, negli Usa, che sono il primo mercato dello sportswear, le vendite hanno toccato quota 117 miliardi di dollari, più di 104 milioni di euro al cambio attuale. E ha messo a segno una crescita record: nel 2013, solo cinque anni prima, valeva infatti 85 miliardi. Notevole anche la crescita delle vendite di abbigliamento e prodotti sportivi in Cina: tra il 2013 e il 2018 il valore del mercato è raddoppiato, passando da 20 a 40 miliardi di dollari (36 miliardi di euro).
Se l’interesse per lo sport in sé aumenta, a imprimere l’accelerazione al settore è stata, negli ultimi anni, la convergenza sempre maggiore tra abbigliamento sportivo, quotidianità, moda, musica. Con le grandi griffe del lusso che hanno cominciato a introdurre lo sportswear nelle loro collezioni e i big player dello sport che si sono avvicinati al mondo dello stile, anche attraverso la musica, come dimostrano le collaborazioni Puma-Rihanna e Adidas-Beyoncé, annunciata ieri.
La spinta arriva da athleisure e sneaker
A trainare le vendite in Italia sono due segmenti di prodotto che incarnano questo connubio alla perfezione: athleisure e sneakers. Il primo (crasi tra athletes and leisure wear) fonde performance e comodità in una chiave urbana ed è considerato dagli analisti di Euromonitor «un elemento chiave dello stile di vita del consumatore italiano». Per capirlo, basta guardarsi attorno in un ambiente pubblico: molte donne e ragazze indossano i leggings (che pare rimarranno uno dei prodotti più venduti anche in futuro, essendo entrati nel dizionario dell’abbigliamento quotidiano); gli uomini, invece, sostituiscono i leggings con i pantaloni della tuta, in felpa o in tessuto tecnico. T-shirt, felpe e felpe con cappuccio («hoodies») sono perfettamente genderless.
Le sneaker rappresentano una categoria a parte per diversi motivi: il primo è che crescono due volte più velocemente del resto dello sportswear (+4% nel 2018), il secondo è che sono diventate davvero un elemento chiave del guardaroba quotidiano di persone di tutte le età. Sono state capaci di frantumare barriere sociali e dress code: si indossano a scuola, in ufficio, nel tempo libero e per uscire la sera. Il terzo motivo è che sono diventati veri e propri oggetti di culto: i brand hanno fatto delle limited edition un vero e proprio terreno di sfida e chi si aggiudica i modelli più rari li rivende online su specifiche piattaforme, a prezzi decisamente più alti.
Nike e Adidas brand più venduti. Quanto conta il calcio?
In termini di vendite, Euromonitor International “fotografa” Nike e Adidas come marchi leader in Italia, con una quota di mercato del 14,1% e del 12,4% rispettivamente. Seguiti da Decathlon (8,2%) e Puma (4%). Fatta eccezione per Decathlon, i marchi sopra citati sono tre tra i principali sponsor tecnici del mondo del calcio, una disciplina che appassiona un pubblico trasversale, che in Italia strega chi fa attivamente sport, ma soprattutto i tifosi delle squadre. Adidas, per esempio, è sponsor tecnico della Juventus , prima in classifica del campionato Serie A-Tim. Nike, invece, è legata a Inter e Roma (e, soprattutto, ha tra i propri ambassador “a vita” Cristiano Ronaldo ), mentre Puma è sponsor tecnico del Milan.
Il legame con le squadre e i giocatori inciderà fino a un certo punto, certo, ma rimane un elemento chiave dell’immagine dei brand. Basta pensare che su Instagram l’account @nikefootball ha 37,2 milioni di follower contro i 6,8 milioni di @nikesportswear e @adidasfootball ne conta 28 milioni, contro i 23,3 milioni di @adidas. E, tornando alle vendite in Italia, può rappresentare un incentivo all’acquisto anche per i turisti che acquistano maglie e accessori come souvenir dal Bel Paese.
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