Spread ai minimi dal maggio 2018: i tre motivi del crollo
Il mercato già lo aveva capito. Ora è arrivata l’ufficialità: la Commissione europea ha ritirato la raccomandazione di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. E lo spread tra BTp e Bund cala ancora, fino a 198 punti base, minimi da maggio 2018.
di Morya Longo
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Il mercato già lo aveva capito. Ora è arrivata l’ufficialità: la Commissione europea ha ritirato la raccomandazione di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. E nel giorno in cui è arrivata anche un’altra buona notizia, cioè la nomina di Christine Lagarde alla Bce, lo spread tra BTp e Bund cala velocemente fino a 198 punti base, minimi dal 25 maggio del 2018. Il differenziale tra BTp e Bund resta ben più elevato rispetto ai 130 punti base del 14 maggio 2018, cioè prima della pubblicazione della prima bozza del Contratto di Governo. Ma ugualmente il calo di questi giorni è considerevole. E riporta l’Italia ai giorni precedenti alla formazione del Governo Conte.
I rendimenti dei BTp decennali sono diminuiti all’1,59%, in ribasso di 26 punti base in un solo giorno. I BTp biennali addirittura sono scesi sotto zero. Ma quello che più colpisce è il confronto con gli altri Paesi: da fine maggio il debito pubblico italiano ha registrato la performance migliore tra tutti i Paesi dell’area euro. Nessuno ha ridotto i tassi d’interesse di 107 punti base sui decennali, come ha fatto l’Italia. È vero che i BTp partono (e restano) più alti di tutti, ma per un Paese su cui pende la spada di Damocle di una procedura d’infrazione è comunque un fatto positivo.
I motivi sono tre. Iniziamo dal primo, quello che pesa di più: la politica monetaria della Bce. Dopo le ultime dichiarazioni di Mario Draghi, a metà giugno, il mercato ha iniziato a scommettere che la Bce taglierà presto i tassi sui depositi di 10 centesimi. Attualmente il mercato assegna una probabilità del 50% a un taglio già questo mese. E la nomina al vertice Bce di Christine Lagarde lascia ben sperare che la “nuova” Bce seguirà il corso espansivo della “vecchia” Bce di Draghi. Ma il boccone più grosso è un altro: il mercato ormai è convinto che la Bce lancerà un nuovo quantitative easing. Cioè una nuova operazione con cui stampa moneta e compra titoli di Stato europei. Per i BTp sarebbe manna dal cielo. Gli investitori lo sanno. E l’anticipano.
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Fino a qualche giorno fa però c’era un timore che li frenava: il rischio di una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea. Questo metteva il mercato a disagio, anche perché gli investitori hanno sempre temuto che uno scontro con Bruxelles potesse diventare l’incidente in grado di portare l’Italia fuori dall’euro. Ebbene: il fatto che il Governo si sia messo al tavolo per sistemare i conti (almeno per il 2019), ha tranquillizzato molto gli investitori già nei giorni scorsi. Non solo perché questo ha evitato la procedura d’infrazione, ma anche perché ha dimostrato che in fin dei conti il Governo non vuole andare davvero allo scontro con Bruxelles. Dunque, agli occhi di chi investe in BTp, questo significa che Italexit si fa meno probabile.
In questo contesto, c’è un terzo motivo che spinge gli investitori a comprare titoli di Stato italiani: sono gli unici (tra quelli liquidi) a offrire rendimenti dignitosi. Attualmente - secondo Bloomberg - nel mondo ci sono 12.830 miliardi di dollari di titoli di Stato con rendimenti negativi. Sulle scadenze decennali sono 6 i Paesi in Europa che hanno tassi negativi: Germania (-0,38%), Francia (-0,10%), Austria (-0,13%), Finlandia (-0,11%), Belgio (-0,04%) e Olanda (-0,22%). I BTp, con il loro rendimento fino a pochi giorni fa ancora al 2%, in questo deserto tornano dunque appetibili. Così gli acquisti sono tornati. Anche se le incertezze, per il futuro, restano.
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