Spread, Visco: rischio grave. Tria: siamo oltre Grande Depressione, deficit è responsabile
di Nicola Barone
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Il deficit «non salirà come paventato da alcuni interlocutori, istituzionali e non» perché le stime del governo sono basate su una previsione di crescita tendenziale. Di questo si dice convinto il ministro dell'Economia Giovanni Tria, intervenendo alla Giornata del risparmio. «Non era mai accaduto che quando un Paese dell'Ue ha deviato dalle regole fiscali si sia messa in discussione la sua appartenenza o meno all'Ue o all'area euro».
È il «grande equivoco» contro cui si scaglia il ministro, dal momento che l’esecutivo gialloverde «non vuole in alcun modo l'uscita dell'Italia dall'euro o dall'Unione europea». Se si guarda ai fondamentali dell'economia italiana lo spread, il differenziale di rendimento Italia-Germania, «non è giustificato».
Sta stretto dentro la vulgata corrente il ragionamento di Tria. «Quale sarebbe il costo di un “non deficit”, cioè di un non investimento nelle opere e nel capitale umano? Quale sarebbe il costo di non risolvere il problema della crescita italiana che è troppo bassa. Dopo dieci anni e due recessioni, siamo già oltre gli effetti della Grande Depressione degli anni Trenta. Questo ci ha fatto capire che il costo del “non deficit” non ce lo possiamo permettere, né economicamente, né socialmente». Al contrario, argomenta il ministro, «il “costo” del deficit è sostenibile e responsabile e ci consentirà come sistema Paese di affrontare i prossimi anni con la certezza che ridurremo il rapporto debito/Pil e una maggiore fiducia nella nostra capacità di creare benessere. Ed è proprio il risultato di questa convinzione che ci avvicina di più all'Europa e non il contrario».
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Il governo è in controllo della situazione e pronto a intervenire. «Il sistema delle banche italiane è solido» e «stiamo vigilando affinchè non sia messo in difficoltà» dalle turbolenze dei mercati.
Visco: l’effetto spread costerà 5 miliardi
La crescita del Pil italiano dovrebbe essere «nell'ordine dell'1% quest'anno per poi ridursi nel 2019 al netto degli effetti della manovra di bilancio di cui non sono ancora noti i dettagli». Per il governatore di Bankitalia Ignazio Visco «la politica di bilancio ha margini limitati per compensare una eventuale flessione della domanda privata e in questo contesto vanno privilegiati interventi che incentivano gli investimenti in infrastrutture, materiali e immateriali, e la partecipazione al lavoro». Le risorse pertanto «vanno concentrate su misure chiaramente orientate a sostenere efficacemente l'attività economica».
È una sorta di allarme quello che arriva dal governatore della Banca d'Italia per gli effetti «gravi di un prolungato rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato», su banche e famiglie. Nella relazione Visco rileva come «il loro incremento deprime il valore dei risparmi accumulati dalle famiglie» direttamente o indirettamente che detengono 100 miliardi di titoli pubblici mentre le banche e società a cui affidano i loro risparmi ne hanno 850 miliardi. Per le banche gli effetti si vedono sull'aumento del costo della raccolta e caduta delle azioni (-35% da maggio).
«Il rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato si riflette negativamente anche sul bilancio pubblico e qualora non venisse riassorbito, l'incremento fin qui registrato provocherebbe, già dal prossimo anno, maggiori spese per interessi per circa 0,3 punti di Pil, oltre 5 miliardi». Secondo i calcoli l'aggravio salirebbe
«a mezzo punto nel 2020 e a 0,7 punti nel 2021. Ciò accrescerebbe l'avanzo primario necessario anche solo a stabilizzare il rapporto tra il debito pubblico e il Pil».
Ma nel complesso il debito pubblico dell'Italia rimane «sostenibile» ad avviso del governatore di Bankitalia per il quale tuttavia «deve essere chiara la determinazione a mantenerlo tale, ponendo il rapporto tra debito e prodotto su un sentiero credibile di riduzione duratura». Le conseguenze «di un prolungato, ampio rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato possono essere gravi» a giudizio di Visco che indica con chiarezza i rischi per l'Italia da un differenziale dei rendimenti sopra i 300 punti base. «Premi elevati - osserva - rendono più difficile il controllo della dinamica del rapporto tra il debito pubblico e il prodotto». Rende angusti gli spazi per gli investimenti pubblici, produce perdite in conto capitale che peggiorano la situazione patrimoniale delle banche. «Direttamente o indirettamente il rischio sovrano ricade sulle famiglie italiane». Non solo per i quasi 100 miliardi di titoli pubblici detenuti direttamente ma anche per gli 850 miliardi di titoli pubblici all'attivo degli intermediari ai quali le famiglie affidano i loro risparmi.
Guzzetti: non sacrificare il risparmio sull’altare del debito pubblico
«Il risparmio privato - e non solo - non può venire sacrificato sull'altare del debito pubblico». È uno dei passaggi più significativi del discorso fatto dal presidente Acri Giuseppe Guzzetti in occasione della 94esima Giornata del risparmio, nel rilevare come è «innanzitutto responsabilità del governo di non mettere a rischio il risparmio degli italiani». Il risparmio privato degli italiani viene considerato da Moody's «elemento di forte stabilità del sistema. Questo risparmio nelle ultime settimane è già stato significativamente ridotto», secondo Guzzetti.
Dunque tenere in ordine i conti pubblici e ridurre il debito sono strumenti per la tutela del risparmio. Giuseppe Guzzetti, prossimo alla scadenza del suo mandato l'anno prossimo, è chiarissimo «Il bilancio pubblico è un fattore rilevante per la tutela del risparmio; conti in ordine o comunque da riportare in ordine secondo un impegnativo programma, credibile e affidabile che faccia leva sulle poste del bilancio pubblico e, nel contempo, su crescita, produttività e investimenti, proteggono il risparmio, sia quello destinato al finanziamento del Tesoro, sia quello affidato al sistema bancario e agli intermediari specializzati», afferma ancora. Quanto al debito «agire su quest'ultimo con un piano pluriennale di misure per la sua riduzione in funzione del Pil è un dovere non tanto nei confronti dei parametri europei, quanto, innanzitutto, nei confronti delle future generazioni e, nell'immediato, per prevenire un aggravamento delle difficoltà con una strategia adeguata fatta non soltanto di interventi finanziari, ma anche di misure che incidano nell'economia reale».
Cdp non è pronto soccorso per società in crisi
La Cdp «non può essere il pronto soccorso che interviene nelle società in crisi. Chi pensasse a questo ruolo di Cassa depositi e Prestiti troverà la nostra ferma opposizione, così come crediamo che il nostro Paese di tutto abbia bisogno fuorché di una banca pubblica». Acclusa a questa sottolineatura arriva la ribadita contrarietà a investire in Alitalia. «Per quanto ci riguarda non sarà messo a rischio il risparmio degli italiani in investimenti non consentiti dallo statuto vigente» aggiungendo come «la recente esperienza della banca pubblica per il Mezzogiorno dovrebbe aver insegnato qualcosa e dovrebbe scoraggiare ulteriori iniziative in quella direzione».
Sui tecnici del Mef inacettabili insinuazioni
Un «un sincero apprezzamento» viene espresso poi da Guzzetti per i dirigenti
del ministero dell'Economia. Racconta di essersi indignato «quando ho letto infondati giudizi su queste stimate persone, competenti e capaci, servitori dello Stato, nel senso più alto di questa affermazione, che sono ripagati del loro
impegno con inaccettabili insinuazioni». E ricorda di aver avuto «rapporti continuativi in ragione delle loro funzioni di vigilanza sulle Fondazioni con Alessandro Rivera, nominato di recente direttore generale del Mef, e col professor Roberto Garofoli».
Il commiato, no alla deriva dell'odio
Giuseppe Guzzetti si congeda dunque dalla “sua” platea, con un appello a fermare «il veleno dell'odio» che si sta insinuando nella «vita quotidiana» e auspicando urgenti «comportamenti e atti che fermino questa deriva che mina alle radici la nostra democrazia». È la considerazione di un «anziano», quella del presidente Acri, già esponente della Dc e presidente della Regione Lombardia «che ha passato molte stagioni politiche, economiche, sociali, a partire dall'immediato Dopoguerra, quando lo scontro politico era durissimo, ma non è mai venuto meno il rispetto dell'avversario». Questi «non deve essere un nemico e la diversa opinione non va demonizzata. La dialettica è utile e necessaria per una positiva prospettiva di cambiamento e i problemi del Paese non vanno imputati ad ipotetici poteri forti. La pluralità dell'informazione va tutelata come ricchezza di una società democratica».
Patuelli: occorre maggior rispetto e fiducia per le banche
In una fase di per sé complicata a chiedere «maggior rispetto e fiducia verso le banche» è il presidente Abi Antonio Patuelli rilevando come «le undici crisi bancarie sono alle spalle e non vanno confuse con le banche sane che hanno dovuto concorrere a salvarle». Patuelli ricorda che «gli sforzi delle banche non finiscono mai» nel ripercorrere la diminuzione delle sofferenze dai 90 miliardi del 2015 ai 40 attuali e la crescita di «prestiti a famiglie e imprese con i tassi d'interesse più bassi della storia d'Italia». Per il presidente dell’Abi «questo non basta» e occorre «una più solida redditività per l'azionariato bancario» che hanno «sopportato i colossali continui accantonamenti, gli aumenti di capitale e i dodici miliardi di esborsi delle banche, in tre anni, per i fondi nazionali ed europei per le banche in difficoltà. mentre gli aiuti di stato alle banche in crisi sono risultati fra i più bassi d'Europa».
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