Ssn al capolinea, solo un Patto politico e una profonda riorganizzazione lo salveranno
Difformità e i ritardi nell’attuazione del diritto universale all’assistenza
di Barbara Gobbi
I punti chiave
- Liste d’attesa interminabili, medici e infermieri introvabili
- Un Ssn al capolinea che necessita di riforme coraggiose
- Recuperare dove ci sono margini ma serve un patto sociale e politico
- Necessarie riforme di rottura
- Spesa sanitaria inferiore a quella europea
- Frattura strutturale fra Nord e Sud
- Nessuna regione del Sud fra le prime dieci
- Un flusso di denaro scorre da Sud a Nord
- Il Piano di rilancio del Ssn
6' di lettura
Una ‘frattura strutturale’ tra Nord e Sud del Paese come una faglia attraversa il Servizio sanitario nazionale, già nel complesso gravato da anni di tagli o di finanziamenti inadeguati, da politiche di piccolo cabotaggio e di fabbisogni mal stimati, quando si guarda in particolare al personale. Con una spesa out-of-pocket a carico delle famiglie che sfiora i 37 miliardi, pari a un quinto della spesa sanitaria totale che nel 2022 si è attestata su 171.867 milioni. Mentre a dare il polso della distanza dal benchmark Ocse sono quei 130,4 mld di spesa sanitaria pubblica (il 75,9% del totale) che sempre nel 2022 si attestava al 6,8% del Pil, inferiore sia alla media Ocse sia a quella europea (entrambe al 7,1%).
Uno scenario in cui il gap con la media dei paesi europei sempre dell’area Ocse è di 829 euro pro capite, che cumulano un baratro da 48,8 miliardi considerando il dato Istat di 58,8 milioni di abitanti in Italia. Il rosario laico dei numeri che certificano la crisi del Ssn è sgranato nel 6° Rapporto sul Servizio sanitario nazionale prodotto dalla Fondazione Gimbe. Che accanto alle cifre, per descrivere un “Ssn al capolinea” passa in rassegna le difformità e i ritardi nell’attuazione del diritto universale all’assistenza. E lancia un monito: non è più tempo di manutenzioni ordinarie, per ripristinare le cure pubbliche servono riforme coraggiose. Una bussola possibile: il Piano di Rilancio in quattordici punti proposto nel documento, che guarda all’articolo 32 della nostra Carta, «perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti».
Liste d’attesa interminabili, medici e infermieri introvabili
Liste d’attesa interminabili, medici e soprattutto infermieri introvabili, percorsi a ostacoli o una vera e propria impossibilità di ottenere nella propria Regione, quasi sempre del Sud, assistenza e servizi che altrove sono garantiti, medicina difensiva che genera sprechi e inappropriatezza, caos e nebbia nell’attuazione del cosiddetto ‘secondo pilastro’ della sanità integrativa. Poi, modelli organizzativi che non generano “valore” in termini di appropriatezza e di esiti delle cure. E attrattività in caduta libera. Questi i mali della sanità pubblica italiana «soggetta a un progressivo indebolimento che dura da oltre quindici anni, perpetrato da tutti i Governi», avvisa il presidente Gimbe Nino Cartabellotta.
Un Ssn al capolinea che necessita di riforme coraggiose
Non si può più attendere: «Il preoccupante ‘stato di salute’ del Ssn – prosegue – impone una profonda riflessione politica perché il tempo della manutenzione ordinaria è ormai scaduto. Servono delle scelte – incalza -: o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al Ssn la sua missione originale oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello. In quest’ultimo - non auspicabile - caso la politica non può sottrarsi al compito di governare un rigoroso processo di privatizzazione, che ormai da anni si sta insinuando in maniera strisciante approfittando proprio dell’indebolimento della sanità pubblica».
Recuperare dove ci sono margini ma serve un patto sociale e politico
Cartabellotta richiama l’intervento della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Festival delle Regioni di Torino, davanti ai governatori in attesa di segnali di fumo sulla prossima manovra, che per la sanità vede un balletto di cifre al di sotto dei 4 miliardi preventivati ad agosto dal ministro della Salute Schillaci. La premier aveva sottolineato come «sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull’aumento o meno delle risorse perché bisogna confrontarsi anche su come quelle risorse vengono spese». Se è vero è la replica di Cartabellotta - che «potenzialmente ci sono ampi margini di recupero su vari ambiti come l’eccesso di medicina difensiva e una domanda inappropriata, conseguenze del sotto-utilizzo di prestazioni efficaci, frodi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza tra ospedale e territorio, il recupero di queste risorse richiede però una profonda riorganizzazione del Ssn».
Necessarie riforme di rottura
Insomma sarebbero necessarie riforme di rottura, formazione dei professionisti e informazione alla popolazione sull’appropriatezza di esami diagnostici e terapie: «non si tratta – avvisano dalla Fondazione - di risorse monetizzabili a breve termine, analogamente a quelle sottratte all’erario dall’evasione fiscale». A quasi 45 anni dalla legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale urge «un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico».
Spesa sanitaria inferiore a quella europea
Complessivamente nel periodo 2010-2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è stata inferiore di 345 miliardi alla media dei Paesi Ue. E, a voler colmare il divario pro capite con la media Ue che nel 2022 si è attestato su 829 euro, al 2030 si stima un incremento totale di 115,9 miliardi, con un finanziamento costante di 14,5 miliardi l’anno a partire da subito. «Se queste cifre da un lato sono palesemente irraggiungibili per la nostra finanza pubblica – commenta Cartabellotta – dall’altro forniscono la dimensione di quanto tutti i Governi abbiano utilizzato la spesa sanitaria come un bancomat, dirottando le risorse su altre priorità. Considerando sempre la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento e ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del Pil». Pil che resta ‘attenzionato’ quando si guarda alla Nadef, dove il rapporto tra spesa sanitaria e Prodotto interno lordo scende dal 6,6% del 2023 al 6,1% del 2026 mentre in termini assoluti nel triennio 2024-2026 l’incremento della spesa sanitaria è di 4.238 milioni (+1,1%).
Frattura strutturale fra Nord e Sud
«Stiamo scivolando da un Servizio sanitario nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata». Dal progetto Calderoli, secondo Cartabellotta, «andrebbe espunta proprio la sanità: l’autonomia differenziata – spiega – legittimerebbe il divario tra Nord e Sud violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute». A dare man forte alla proposta di ‘stralcio’ c’è nel Rapporto Gimbe l’analisi sull’attuazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), le cure che il Servizio sanitario nazionale è chiamato a garantire ai cittadini gratuitamente o con ticket.
Nessuna regione del Sud fra le prime dieci
La prima frattura è lì, come «confermano tutte le analisi sui Lea»: nessuna Regione del Sud tra 2010 e 2019 si è posizionata tra le prime dieci per adempienza rispetto agli indicatori su prevenzione, assistenza distrettuale (territorio) e ospedale che compongono il paniere di valutazione. Nel 2020 l’unica del meridione - tra le undici adempienti - è la Puglia; nel 2021 le adempienti sono quattordici e di queste tre sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata che in ogni caso si piazzano ultime tra le ‘promosse’. Emblematici anche i dati sul personale dipendente dal Ssn: a fronte di un valore nazionale di 2,4 infermieri per medico, il range varia dagli 1,83 della Sicilia ai 3,3 di Bolzano, con un gap dell’80,3%.La criticità che affligge metà del Paese si traduce plasticamente in un saldo di mobilità sanitaria (pazienti che si spostano per curarsi) che nel 2020 – pure se in calo anche complice la pandemia - si attesta su oltre 3,3 miliardi.
Un flusso di denaro scorre da Sud a Nord
Un flusso di denaro e di pazienti che scorre da Sud a Nord, con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto (tra i “top” anche nella classifica Lea) che cumulano oltre il 94,1% di mobilità attiva. Lo documenta la Corte dei conti: nel decennio 2010-2019 tredici Regioni, quasi tutte del centro-sud, hanno cumulato un saldo negativo di 14 miliardi, mentre tre dei quattro posti per saldo positivo sono occupati dalle Regioni del Nord che hanno chiesto maggiori autonomie e cioè Lombardia (6,18 miliardi), Emilia-Romagna (3,35 mld), Toscana (1,34 mld) e Veneto (1,14 mld). Ad acuire la distanza profonda tra le Regioni interviene poi la sostanziale inesigibilità dei Lea per tutte quelle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica, che per sei anni e mezzo sono rimaste orfane di tariffari che le rendessero esigibili. Sdoganate ad aprile scorso, con il via libera arrivato in Conferenza Stato-Regioni, in ogni caso entreranno in vigore solo nel 2024.
Il Piano di rilancio del Ssn
Dalla «salute in tutte le politiche» alla ricerca sanitaria da sovvenzionare con almeno il 2% del Fondo sanitario nazionale: sono 14 i macrotemi di lavoro proposti dalla Fondazione Gimbe. Parzialmente già fatti propri dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che «rappresenta una grande opportunità» ma che «va sostenuto con azioni politiche», una per tutte il ridisegno di ruolo e responsabilità del medico di famiglia. In mezzo, si transita per altri 12 punti che includono l’approccio One Health, il potenziamento della capacità di indirizzo e di verifica dello Stato sulle Regioni, il rilancio «consistente e stabile» delle risorse, l’uniforme attuazione dei Lea, la programmazione sanitaria basata sui bisogni di salute della popolazione e sull’integrazione con il sociale, il pieno rilancio delle politiche sul capitale umano - investimento congruo, adeguata programmazione dei fabbisogni, riforma della formazione e valutazione delle competenze per motivare la «colonna portante del Ssn» – contrasto a sprechi e inefficienze aumentando il ‘value’ della spesa sanitaria, una chiara disciplina dei rapporti pubblico-privato, riordino della sanità integrativa e della disciplina dei ticket, diffusione della cultura digitale e informazione ai cittadini capace di aumentarne l’alfabetizzazione sanitaria. Tessere di un puzzle di complessivo rafforzamento del Ssn, «pilastro fondante della nostra democrazia», conclude Cartabellotta.
loading...