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Start up del food&beverage, investiti oltre 156 milioni nel 2022

Ricerca della società di consulenza TheFoodCons in collaborazione con Agrifood-Tech: Italia ancora in ritardo rispetto all’Europa ma dai campi ai ristoranti la tecnologia è ormai obbligatoria

di Gianni Rusconi

(Adobe Stock)

3' di lettura

Dai campi alle sale dei ristoranti: la tecnologia in campo agroalimentare è ormai una presenza consolidata, vuoi per la necessità di rendere più efficienti i processi di produzione e lavorazione, vuoi per la sensibilità di guardare avanti in termini di nuovi servizi da offrire al consumatore finale.

Ma quanto si spende e si investe nelle start up che operano in questa industry? A questa domanda ha provato a rispondere un nuovo rapporto elaborato dalla società di consulenza TheFoodCons in collaborazione con Agrifood-Tech Italia (l'associazione che raggruppa i più importanti operatori nel campo dell'innovazione agroalimentare) e alcune delle imprese tech del settore quali xFarm Technologies, 3Bee ed Elaisian.

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Il totale degli investimenti effettuati lo scorso anno nelle start up, questo il dato da mettere in evidenza, ha superato quota 156 milioni di euro in virtù di oltre 50 operazioni di finanziamento, di cui poco meno della metà gestite con il modello dell'equity crowdfunding.

Fra le sei categorie individuate per elaborare il rapporto, le più importanti sono (nell'ordine) il “digital food” e l'agritech, accreditate rispettivamente di investimenti per 64 milioni e 61 milioni di euro (circa l'80% del totale). Sul gradino più basso del podio di questa speciale classifica troviamo il comparto “restaurant-tech”, con oltre 18 milioni di euro raccolti, e a chiudere i “cibi innovativi” (4,2 milioni), il food retail (5 milioni) e la voce generica “varie” (2,8 milioni).

Una chiave di lettura non trascurabile di questi dati è la percentuale di operazioni “early stage”, nettamente inferiore agli investimenti operati in aziende “late stage”, e quindi già mature e consolidate sul mercato: un segno inequivocabile, dicono gli autori del rapporto, della scarsa attitudine al rischio e dell'assenza di fiducia nelle potenzialità delle startup che cercano spazio in questa industria.

L'anomalia italiana è ben riassunta da un'osservazione di Peter Kruger, presidente di Agrifood-Tech Italia, che ha evidenziato come «la quantità di investimenti attratti dalle start up italiane, pari allo 0,3% del capitale totale investito in startup agrifood-tech su scala globale (solo in Europa, secondo i dati di DigitalFoodLab, la raccolta di capitali delle foodtech nel 2021 ha sfiorato quota 10 miliardi di euro, ndr), segnala da un lato un drammatico ritardo nella capacità del Paese di tenere il passo con l'innovazione e dall'altro anche gli enormi margini di crescita di questo settore».

Uno scenario a luci e ombre, dunque, e in questa chiave si inseriscono anche le analisi di altre due società che hanno partecipato alla ricerca. A detta di Sharon Cittone, fondatrice e ceo di Edible Planet Ventures, una piattaforma olistica per stimolare l'innovazione in campo agroalimentare, «il valore degli investimenti medi deve essere competitivo con il resto dell'Europa ed è essenziale che le aziende del comparto lavorino con un approccio più agile e collaborativo, affinché si possa creare un ecosistema forte e resiliente. L'Italia, da sempre regina del food, rischia di perdere la partita pur avendo le carte in regola per vincerla».

Più ottimista è invece Max Leveau, cofondatore di Forward Fooding, società di consulenza con sede a Londra specializzata nel foodtech, secondo cui «i dati della ricerca dicono che l'Italia sta recuperando terreno sebbene sia ancora in ritardo rispetto ad altri ecosistemi in Europa in termini di investimenti. Aziende come XFarm, Cortilia, Deliveristo, Everli o Babaco stanno aprendo la strada ad altre storie di successo e, dato non trascurabile, le multinazionali del food & beverage sono sempre più proattive nell'abbracciare l'innovazione portata dal digitale».

Dal punto di vista delle start up dell'agritech, infine, il messaggio inviato a tutti gli operatori è sostanzialmente quello di sostenere la dinamicità degli investimenti e la sostenibilità garantita dall'uso delle nuove tecnologie quali fattori chiave per accelerare ulteriormente l'evoluzione di un settore che in Europa è al terzo posto per produzione lorda vendibile. Il timore, oggettivo, è che l'atteso salto di qualità in fatto di innovazione tecnologica tardi però ad arrivare, aumentando il rischio di rimanere alle spalle di Paesi con una tradizione decisamente meno spiccata in materia alimentare come Norvegia, Danimarca, Repubblica Ceca, Finlandia ed Estonia.


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