Startup: perché la Spagna vale il doppio dell’Italia? Qualche lezione da Madrid
Terza in Ue per numero di startup dopo Germania e Francia, la Spagna ha un ecosistema dell’innovazione che vale più del doppio di quello italiano
di Enrico Marro
5' di lettura
Con un valore di 93,6 miliardi di dollari in crescita dell’8,4% rispetto all’anno precedente, l’ecosistema startup spagnolo nel 2022 valeva più del doppio di quello italiano (44 miliardi di dollari il nostro, nonostante una crescita del 42,5% dovuta anche ai maxifondi europei transitati attraverso il Pnrr).
Pur se ancora lontana da campioni continentali come Germania (471 miliardi), Francia (326 miliardi) e Olanda (299 miliardi), la Spagna sta macinando ottimi risultati: come rivela un recente report di PwC il sistema dell’innovazione iberico, cresciuto del 28% in cinque anni, a fine 2022 era forte di 218 acceleratori (+57% rispetto al 2021), 109 incubatori (+10%) e oltre 12mila startup (+8%) per circa 160mila posti di lavoro (+14%).
Spagna terza in Ue per startup
Come numero di startup, all’interno della Ue la Spagna è terza dietro a Germania e Francia. E le cose sono destinate a migliorare grazie agli incentivi della recente legge Crea y Crece.
Al punto da rendere l’ecosistema dell’innovazione iberico molto attraente anche gli italiani, come ha mostrato la buona presenza di startup tricolori a South Summit, il maxievento co-organizzato a Madrid da IE University al quale hanno partecipato 6500 imprese hi-tech (tra cui 21 unicorni) e duemila investitori, con una potenza di fuoco complessiva di oltre 326 miliardi di dollari.
Risorti dalla cenere
Ma quando nasce il milagro iberico? «L’anno della svolta è stato il 2012, quando con la crisi dell’euro abbiamo toccato il fondo - spiega María Benjumea, fondatrice e ceo di South Summit - . In quel momento abbiamo capito che dovevamo cambiare passo in modo strutturale, con rapidità e spirito di adattamento. La chiave era creare un vero ecosistema, perché le startup da sole non significano molto: bisogna farle crescere, riuscire a connetterle, a moltiplicarle».
L’uomo dai 70 brevetti
«Sono cresciuto professionalmente nella Silicon Valley ma in Spagna ho trovato una grande apertura», spiega Ikhlaq Sidhu, Dean della IE School of Science and Technology alla IE University ed ex numero uno del leggendario Sutardja Center for Entrepreneurship & Technology dell'University of California a Berkeley.
«L’attrazione di talenti internazionali rappresenta la chiave per crescere, come dimostra la storia degli Stati Uniti dove non ti chiedono “da dove vieni” o “di chi sei parente” ma “cosa sai fare”. La Spagna oggi è decisamente in “opening mode”: ha capito che la diversità intesa in senso ampio rappresenta un enorme valore», conclude Sidhu, che nel suo curriculum personale vanta qualcosa come oltre 70 brevetti internazionali.
Il gap italiano
«La Spagna è notevolmente più avanti di noi su vari fronti», fa eco Stefano Guidotti, partner di P101, uno dei protagonisti del venture capital italiano con quattro fondi, l’ultimo dei quali (lanciato a dicembre 2022) da 200 milioni di euro.
«Oltre a una normativa all’avanguardia a livello mondiale (la legge Crea y Crece lanciata nel 2023), da tempo ha coinvolto il mondo corporate con investimenti in fondi e nelle startup, da Mutua Madrileña a Bbva e Santander, da Telefónica alle società aeroportuali. Inoltre le startup iberiche sono spesso meglio capitalizzate di quelle italiane, competono su orizzonti geografici maggiori e hanno una storia molto più solida di exit», continua Guidotti, ricordando che P101 in Spagna ha investito su sei società con già due exit all’attivo.
«Barcellona e Madrid sono diventati grandi hub dell’innovazione: rappresentano i newcomer dietro alle capofila Londra, Berlino e Parigi, senza dimenticare Amsterdam e Stoccolma, mentre Milano resta ancora decisamente staccata. Colmare questo gap è complesso ma possibile: grazie a Cdp e all’attività di lobby e interazione con le istituzioni di Italian Tech Alliance sono stati fatti importanti passi, ma resta molto lavoro. Un esempio? Germania, Francia e Spagna hanno investito un miliardo di euro ciascuna nel fondo europeo European Tech Champions Initiative, appena lanciato. L’Italia appena 150 milioni».
Visti da Palo Alto
Accel è uno dei colossi mondiali del venture capital. Quartier generale a Palo Alto, 20 miliardi di dollari di asset gestiti, ha finanziato tra le altre Facebook e Dropbox. Nel 2000 sbarca nel mercato europeo, aprendo un ufficio a Londra.
«Dopo la crisi del 2012 la Spagna ha lavorato duro, copiando il modello francese - racconta Luca Bocchio, che in Accel è partner dal 2018 -: il risultato è che sono emerse realtà molto interessanti, per esempio Wallapop. L’Italia resta molto indietro. Fatica a far rientrare i cervelli, sconta un approccio ancora “provinciale” e soprattutto manca di consolidate success stories. Di conseguenza risorse e talenti scarseggiano»
Guardando il bicchiere mezzo pieno, di recente sono emerse belle realtà come Scalapay, Satispay e Bending Spoons, conclude Bocchio, mentre la Cdp cerca di colmare i ritardi seguendo i successi di Bpifrance. «Ma il gap resta: finora delle oltre 160 startup europee in cui abbiamo investito, solo due erano italiane».
Startup italiane a Madrid
Alessandro De Sario, torinese, è co-fondatore e ceo di TherapyChat, startup fondata nel 2016 a Madrid. La sua creatura è una piattaforma per consulti psicologici online, tipo Unobravo e Serenis in Italia. Forte di finanziamenti per 14,5 milioni di euro, ha 50 dipendenti e ambiziosi piani di sviluppo.
«Ho lavorato prima a Londra nell’investment banking e poi a Città del Messico e Berlino in una società di food delivery - spiega Alessandro - quindi per la mia startup ho saggiato vari terreni. In Spagna abbiamo trovato subito investitori e prospettive molto incoraggianti, mentre in Italia facevamo fatica».
Andrea Zuanetti è un ingegnere aerospaziale, primo italiano della storia a vincere assieme ad Alessandro Broglia e Lorenzo Vendemini un concorso della Nasa per un aerotaxi. Nel gennaio 2020 ha fondato assieme ai due amici Up2You, finalista al South Summit, una suite di servizi che aiuta le aziende a capire quanta CO2 emettono, a catturarla e a comunicarla (anche agli investitori).
Oggi la startup, certificata BCorp, ha 50 dipendenti e 3,5 milioni di euro di investimenti raccolti tra Cdp e Azimut. E inizia a mettere il naso fuori dall’Italia. «Qui a Madrid si respira un’aria diversa rispetto a Milano - racconta Andrea - abbiamo parlato con molti fondi di venture capital internazionali, sono loro stessi a contattarci».
Fondata a Torino nel 2015 e oggi presente in 15 mercati mondiali, Enerbrain è un’altra delle finaliste italiane al South Summit: una pionieristica startup B2B che punta a decarbonizzare edifici esistenti. Grazie a 10 milioni di investimenti in diversi round, ha 55 dipendenti e uffici a Torino, Milano e una partnership a Tokyo. In Italia lavora tra gli altri con Eni, Vodafone, Burger King, Edison, Iren.
«Quando abbiamo iniziato, nel 2015, nel nostro Paese mancavano risorse e competenze per la dimensione startup - spiega Giuseppe Giordano, uno dei fondatori - . E ancora oggi il mondo del venture capital nostrano tende a essere risk adverse rispetto a quello internazionale. Il che porta a basse valutazioni per le società».
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