Interventi

Stati generali, non sarebbe ora di chiamare in causa il Cnel?

Il Paese ha già una sede istituzionale per funzioni consultive, propositive, di impulso e collaborazione nelle politiche economiche e sociali

di Giuseppe Franco Ferrari

3' di lettura

Si parla molto negli ultimi giorni di una convocazione di cosiddetti stati generali dell’economia. Si tratterebbe in sostanza di una sorta di consultazione con le parti sociali, preliminare rispetto alle decisioni da prendere in merito ai criteri per la spesa dei fondi che si attendono in arrivo dall’Europa e forse anche in ordine alla selezione dei tipi di aiuti da richiedere all’Unione europea e al loro dosaggio. Non è chiarito come le categorie sociali vengano selezionate, che peso abbiano, come si pensi di strutturarne l’attività consultiva, che non potrà ovviamente avere alcun effetto di vincolo per il Governo, e tantomeno per il Parlamento.

Va da sè che nel moderno Stato sociale le procedure concertative sono sempre utili, tendono a generare legittimazione, come minimo accrescono il tasso di informazione dell’opinione pubblica e quindi contribuiscono a renderne più mature le scelte politiche. Questo dato è ancora più vero in fasi storiche come quella presente, a valle di eventi emergenziali che hanno messo a dura prova il Paese, sollecitandone il tessuto sociale e la forza economica quasi sino alla rottura. L’importante è semmai che la collaborazione con i settori produttivi avvenga senza sclerotizzazioni corporative né rigidità non più compatibili con le dinamiche delle società globalizzate. Più che remore, servono “spinte gentili” (nudges), per usare la terminologia introdotta dal giurista americano di fede Democratica Cass R. Sunstein.

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Sorge però un dubbio. La Costituzione, tanto spesso ricordata ed anzi invocata come stella polare delle dinamiche politiche, proprio per queste funzioni consultive, propositive, di impulso e collaborazione nelle politiche economiche e sociali, individua una sede istituzionale espressamente preposta, il Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro. L’art.99 infatti prevede che sia composto “di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive”, che funga da organo di consulenza delle Camere e del Governo nelle materie indicate dalla legge, con particolare riguardo alla materia economica e sociale. Costituito dalla legge 33/1957 e riordinato dalla legge 936/1986, è stato spesso considerato atrofico o almeno inerte. La legge di revisione costituzionale Renzi/Boschi ne proponeva l’abrogazione e pareva che vi fosse ampio consenso intorno a questa proposta. Ma il referendum del 4 dicembre 2016 ha portato al rigetto, con larga maggioranza, della proposta di revisione.

Il CNEL è quindi vivo e vegeto, e forse merita una rivitalizzazione, dato che il costo per il bilancio dello Stato ammonta a quasi 10 milioni di euro. Sul piano istituzionale, questa è un’occasione per non dimenticare che la sovranità deve svolgersi nelle forme previste dalla Costituzione, non con modalità libere, per così dire brade. Già è invalsa la tendenza a considerare la rete e le piattaforme il luogo delle scelte democratiche: è il caso di proseguire su questa strada, lasciando vuoti ed inutilizzati i canali istituzionalmente deputati alla formazione del consenso? E di crearne altri sostitutivi?

A parte lo scrupolo di correttezza costituzionale, non è necessario ricordare al Premier che dopo i più celebri Stati generali del 1789 vennero la presa della Bastiglia e la fuga da Varennes. E ai cittadini che sempre dopo Rousseau vennero il Terrore e la congiura di Babeuf, che si ricordano di solito come il prototipo di democrazia illiberale. La storia, è vero, di solito non si ripete. Ma in questo caso un po’ di scaramanzia potrebbe aggiungersi al richiamo alla Costituzione.

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