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Stati Uniti: dalla guerra dei dazi di Trump al reshoring e al decoupling di Biden

Gli Stati Uniti hanno una delle economie più grandi e influenti del mondo, caratterizzata da un mix di abbondanti risorse naturali, infrastrutture avanzate e alta produttività; un’economia mista in cui il libero mercato si intreccia spesso e volentieri con l’intervento del Governo.

di Marcello Minenna

(Adobe Stock)

6' di lettura

Gli Stati Uniti hanno una delle economie più grandi e influenti del mondo, caratterizzata da un mix di abbondanti risorse naturali, infrastrutture avanzate e alta produttività; un’economia mista in cui il libero mercato si intreccia spesso e volentieri con l’intervento del Governo.
Negli ultimi trent'anni l'economia statunitense – che registra il Prodotto Interno Lordo (PIL) più elevato del mondo con oltre 23 trilioni di dollari – si è gradualmente spostata dal manifatturiero ai servizi; attualmente i servizi occupano circa l'80% del Prodotto Interno Lordo mentre l'industria manifatturiera, delle costruzioni e del settore minerario fatica a raggiungere il 20% (cfr. Fig 1). Il peso dell'agricoltura è quindi marginale nonostante gli Stati Uniti siano tra i principali esportatori al mondo di mais, soia e carne.

STATI UNITI - PIL, VALORE AGGIUNTO PER SETTORE
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Nell'ambito dei servizi non stupisce che quasi un terzo sia rappresentato dall'industria finanziaria, assicurativa ed immobiliare dato che il sistema finanziario statunitense è il più grande e il più importante del mondo; un altro quarto è composto da servizi professionali ed alle imprese, sanità, servizi sociali ed educazione; seguono infine il commercio al dettaglio e all'ingrosso, i trasporti, l'industria dell'informazione e dell'intrattenimento (cfr. Fig. 2).

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STATI UNITI - PIL, VALORE AGGIUNTO PER SETTORE
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Il Paese opera da sempre in double deficit (cfr. Figg 3 e 4) cioè in deficit sia sul fronte del bilancio pubblico che dell'economia reale (fotografata dal bilancio del Conto Corrente) ma negli ultimi anni questi disavanzi sottendono alcune parole d'ordine: reshoring, cioè reinternalizzazione delle catene del valore, decoupling (cioè disaccoppiamento da altre economie, Cina in primis; il mantra della globalizzazione è stato sostituito da quello della ri-nazionalizzazione.

STATI UNITI - SURPLUS/DEFICIT FEDERALE
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STATI UNITI - CONTO CORRENTE
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Nel primo semestre 2022 il Presidente Biden ha avviato in questa prospettiva il Chip4alliance, un'alleanza con Giappone, SudCorea e Taiwan dedicato all'industria dei semiconduttori (i.e.: il petrolio del XXI secolo). La guerra dei nanometri a livello globale è infatti in corso e la vincerà chi avrà la tecnologia in grado produrre microchip sempre più piccoli (oggi il limite è di 2/3 nanometri), di inserire al loro interno il maggior numero di transistor (oggi circa 100 miliardi) e di sviluppare nuovi tipi di architettura dei transistor, che a parità di nanometri, renderebbero più efficienti i semiconduttori che sono il cervello dell'elettronica e sono presenti in tutti i prodotti dal frigorifero al satellite passando per gli smartphone e le auto. Come dice il nome stesso (“semiconduttori”), gestiscono il passaggio della corrente elettronica e consentono pertanto di ordinare il funzionamento di sistemi complessi. Si tratta di misure tese a vietare l'esportazione in Cina non solo di microchip ma anche di macchinari per produrre i microchip e da un accordo con Taiwan che riporterà almeno in parte in Arizona la costruzione di questi “gioielli” dell'elettronica. Si pensi che in termini di metri quadri più di metà delle nuove fabbriche negli Stati Uniti sono riferibili ai semiconduttori e ai loro derivati.
Nel secondo semestre 2022 si è aggiunto sempre nell'ottica del reshoring e del decouplig dalla Cina l'Inflation Reduction Act (IRA) che Biden ha annunciato come: “l’azione più aggressiva di sempre ... per affrontare la crisi climatica e rafforzare la nostra sicurezza economica ed energetica”. Un programma senza precedenti di quasi 370 miliardi di dollari tra finanziamenti a fondo perduto, incentivi, crediti di imposta e garanzie sui crediti. La ri-nazionalizzazione di settori strategici passa per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell'accordo di Parigi e la riduzione del deficit di oltre 100 miliardi di dollari.
Una strategia autarchica complessiva che ha quindi nel mirino la Cina e richiede (come le Chip4alliance) dei Paesi partner; questa ingente mole di incentivi fiscali è stata infatti già estesa tramite accordi commerciali bilaterali a Canada, Giappone ed Australia. Tali accordi passano ovviamente per la condivisione dell'estrazione e lavorazione delle “terre rare” - al momento in larga parte estratte negli Stati Uniti ma di cui l'Australia è un importante produttore e delle quali in Canada vi sono ricchi giacimenti non ancora sfruttati - che svolgono un ruolo chiave nella transizione ecologica. In questo quadro dei pregiudizi compaiono però dal vecchio Continente dove il Presidente Macron senza mezzi termini ha salutato l'IRA rappresentando che l'Unione Europea deve “resistere alle pressioni di mettersi nella scia statunitense”.
Questa ambiziosa manovra di politica fiscale espansiva, unitamente agli interventi di sostegno senza precedenti al sistema bancario per i fallimenti di Silvergate Bank, Signature Bank, Silicon Valley Bank e First Republic Bank (quest'ultima con il supporto di JPMorgan Chase), ha portato il Presidente Biden in direttissima di fronte al Congresso per ridiscutere un limite massimo (“tetto”) del debito pubblico. Mentre, infatti, fino al 1917 il Presidente doveva passare dal Congresso per ogni aumento del debito pubblico, con il Second liberty bond act il tema di discussione in Congresso è divenuto il “tetto”. A ben vedere però l'accordo sancito dal Congresso il 3 giugno è sui generis, in quanto non viene stabilito un nuovo tetto ma viene sospeso quello attuale fino al gennaio 2025 e quindi dopo le elezioni previste a novembre 2024. A gennaio 2025 si prenderà quindi atto del nuovo livello, evidentemente più di quello attuale pari a oltre il 123% del rapporto tra Debito pubblico e PIL.
Ciò che preoccupa il Congresso – a parte le usuali bagarre politiche – è la circostanza che il rapporto Debito pubblico/PIL è il doppio del livello antecedente la grande crisi finanziaria. In altri termini nonostante l'economia statunitense in questi anni abbia galoppato e superato egregiamente le crisi, portando la disoccupazione al livello più basso degli ultimi cinquant'anni, non si è riusciti a riportare sotto controllo il debito pubblico.
La principale preoccupazione dichiarata è che i doverosi rialzi dei tassi di interesse - definiti dalla Banca Centrale statunitense (FED) in chiave anti-inflattiva - possano mettere in discussione la sostenibilità del debito pubblico, anche se, a ben vedere, sembra una preoccupazione di là da venire, tenuto conto che al momento negli Stati Uniti, a causa dell'inflazione ancora elevata, operano ancora in regime di tassi reali negativi.
In ogni caso l'accordo ha consentito ai Repubblicani di portare a casa l'invarianza per il 2024 ed un aumento massimo dell'1% del PIL alla spesa “discrezionale”, cioè sanità pensioni e oneri finanziari sul debito; tenuto conto che l'inflazione è al ancora al 5,3% si tratta di una manovra recessiva che vale 100-150 miliardi di dollari l'anno con cui comunque l'Amministrazione Biden dovrà misurarsi. Nulla quaestio invece sull'aumento delle spese militari; ma questo non stupisce.
Infatti, le spese militari statunitensi, secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), aggiornati ad aprile 2023, negli ultimi 25 anni (ad eccezione della parentesi 2012-2015) sono cresciute in modo sostanziale attestandosi, per il 2022 a poco meno di 877 Miliardi di dollari, pari a quasi il 3,5% del PIL (cfr Fig. 5). Tale cifra corrisponde al 39% dell'intera spesa militare di tutte le nazioni mondiali (2.240 miliardi di dollari).

SPESA MILITARE PER PAESE
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L'unica altra nazione in doppia cifra è la Cina che si piazza al secondo posto. Secondo il Sipri, Pechino ha speso 292 miliardi di dollari, pari all'1,6% del proprio PIL, esattamente un terzo degli Stati Uniti. La Russia nel 2022 ha scavalcato (sotto la spinta della guerra in Ucraina) l’India (81,4 miliardi dollari), investendo 86,4 miliardi di dollari ovvero, il 4,1% del suo PIL.
Messo a fuoco il deficit di bilancio si può passare all'altro deficit quello del Conto corrente esaminandone le principali determinanti (Cfr. Fig. 4).
Emerge abbastanza chiaramente che il driver di questo disavanzo derivi dalla circostanza che gli Stati Uniti importino più di quanto esportino, peraltro in maniera crescente da più di trent'anni. Coerentemente con la sopra descritta contribuzione core al PIL, i Servizi, finanza in primis, controbilanciano marginalmente la voragine della bilancia commerciale. Un contributo arriva anche dai redditi primari (Fig. 6) che riflettono de facto decenni di grandi investimenti globali effettuati dagli Stati Uniti e che confermano la grande capacità di innovazione dell'industria statunitense che non a caso è ancora al primo posto tra i Paesi del G20 nell'analisi del WIPO (World Intellectual Property Organization).
Il contributo negativo ai redditi primari (Cfr. Fig. 6) da parte degli investimenti di portafoglio riflette la circostanza che circa il 23% del debito pubblico statunitense è in mano straniera o esterovestito (oltre 7 trilioni) dato che è custodito in altri paesi. Due trilioni di dollari sono custoditi nei soli Giappone e Cina (Cfr. Fig. 7). Il dato viene confermato dagli importanti afflussi di liquidità del Conto finanziario (Cfr. Fig. 8).

STATI UNITI - REDDITI PRIMARI
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STATI UNITI - PRINCIPALI DETENTORI ESTERI DEL DEBITO PUBBLICO
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STATI UNITI - CONTO FINANZIARIO
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Il peggioramento del dato riferito ai redditi primari da altri investimenti riflette invece l'incredibile erogazione di credito dall'estero nel periodo post-pandemico anche a servizio del deficit commerciale e ovviamente riflette l'impatto del rialzo dei tassi di interesse impresso dalla FED.
Questo rialzo ha effetti dirompenti anche sul settore privato che - tenuto conto dell'elevato rapporto debito privato/PIL (intorno al 220%secondo i dati OCSE) - producono inevitabili riduzioni del potere d'acquisto; una riduzione che si aggiunge a quelle derivanti dall'inflazione determinando un impatto negativo sui consumi.
Tale impatto non è un aspetto di poco conto considerato che l'economia statunitense è un'economia consumer driven in quanto il suo Prodotto Interno Lordo è composto per circa il 68% dai Consumi privati.
Ciò che emerge è quindi un'economia americana a due velocità dove la Bideneconomics sostiene la produzione industriale mentre inflazione, restrizioni di bilancio e la politica monetaria restrittiva della FED rallentano i Consumi privati. A novembre dell'anno prossimo si tireranno le somme.

@MarcelloMinenna

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