Stato d’emergenza in Kazakhstan, il caro-benzina incendia la protesta
Il presidente Tokajev ristabilisce i controlli sui prezzi del carburante e silura il primo ministro: misure che non sembrano bastare a calmare le dimostrazioni
di Antonella Scott
I punti chiave
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Rovesciata a terra, la statua è spaccata in due. L’interno del monumento a Nursultan Nazarbajev, il “padre della nazione kazaka”, è vuoto: non appena l’immagine appare in rete, trasmessa dalla città di Taldykorgan, la gente si scatena. «Morte al dittatore, libertà ai kazaki!», gioisce il fronte della protesta. «Lo hanno abbattuto i fascisti!», si indignano i sostenitori dell’uomo che ha tenuto in mano il Kazakhstan per 30 anni. Dal 1990 - ancora in era sovietica - fino al 2019.
Passare tre anni fa la presidenza al delfino designato, Kassym-Jomart Tokajev, non è bastato a salvare Nazarbajev. Rimasto leader del partito dominante, Nur Otan (“Patria luminosa”), e capo del potente Consiglio di sicurezza nazionale, anche in questi ultimi anni era ritenuto sempre lui, 81enne, il potere dietro le quinte. Lui e la sua numerosa famiglia, che si era attribuita le ricchezze di un Paese graziato da ingenti risorse energetiche, la principale economia dell’Asia Centrale. Caratterizzata, però, da elevata corruzione e diseguaglianze sociali spaventose.
Hanno covato a lungo sotto la cenere, manifestandosi periodicamente in scioperi e rivendicazioni a livello locale. Ma il Kazakhstan veniva comunque considerato un Paese stabile, tenuto insieme dall’orgoglio dell’indipendenza acquisita nel 1991 e da un autoritarismo in cui Nazarbajev era riuscito a mantenere una relativa popolarità, seguendo lo stesso patto incarnato da Vladimir Putin nella vicina Russia: diritti e libertà personali sacrificati in cambio di stabilità, certezza di un reddito, standard di vita medi confortevoli.
La benzina alle stelle
Le difficoltà della pandemia e gli aumenti dei prezzi - che hanno spinto i tassi di interesse al 9,75% - hanno cambiato il quadro. La prima scintilla delle proteste si è accesa il 2 gennaio a Zhanaozen, nel Sud-Ovest petrolifero del Kazakhstan, regione di Mangistau. Nell’ambito di una graduale riforma dell’energia avviata nel 2019, il Governo aveva annunciato la rimozione dei sussidi, lasciando i prezzi nelle mani del mercato. Nella regione di Zhanaozen, dove la stragrande maggioranza dei veicoli va a gas di petrolio liquefatto, nel giro di pochi giorni il prezzo del GPL è raddoppiato, da 60 a 120 tenge al litro (da 0,12 a 0,24 centesimi di euro). In un Paese in cui il salario medio è sui 250.000 tenge (506 euro), ma dove molti contano su redditi non superiori all’equivalente di 100-150 euro.
Quando il Governo ha cercato di correre ai ripari, riversando la colpa sull’avidità di compagnie energetiche e distributori e ripristinando un prezzo di 50 tenge al litro, era troppo tardi. Da Zhanaozen la protesta era già dilagata nei villaggi e città della regione, il porto di Aktau sul Caspio, Atyrau e Aktobe. Nel Nord e nel Sud del Kazakhstan, fino ad Almaty, l’ex capitale. Lungo il cammino, la protesta ha assunto una matrice politica.
«Il movimento partito il 2 gennaio non ha precedenti per il Kazakhstan - spiega Marie Dumoulin, responsabile per il programma Wider Europe allo European Council on Foreign Relations -. Negli ultimi anni il Paese ha vissuto diverse proteste socio-economiche, ma nessuna aveva una simile dimensione nazionale, né ha provocato cambiamenti politici».
Ora invece per le strade di Almaty risuona il grido «Via il vecchio!». A metà giornata, mercoledì, i manifestanti sono riusciti a fare irruzione nella sede dell’amministrazione cittadina, per poi prendere il controllo della sede del partito Nur Otan, della residenza del presidente e dell’aeroporto. Da cui, secondo siti di informazione locali, alcuni aerei erano pronti a far fuggire in Europa l’éntourage di Nazarbajev e forse lo stesso “padre della patria”. Negli scontri, secondo il ministero degli Interni, otto agenti di polizia sarebbero rimasti uccisi, 317 i feriti.
Appello alla Russia
«Il presidente Tokajev - aggiunge Marie Dumoulin - sta cercando di riprendere il controllo della situazione, accusando il Governo per le sconsiderate decisioni che hanno innescato le proteste». Apparso in tv, Tokajev ha promesso di prendere in considerazione le richieste dei dimostranti ma ha anche avvertito che le illegalità verranno duramente perseguite. Ha fatto dimettere il Governo promuovendo premier Alikhan Smajlov, giovane tecnocrate della generazione che non ha conosciuto l’Urss; ha ordinato lo stato d’emergenza rimanendo da solo in prima linea, dopo aver rilevato da Nazarbajev anche l’incarico di capo del Consiglio di sicurezza.
Riuscirà Tokajev a gestire la situazione? Nel pomeriggio di mercoledì 5 dicembre il presidente si è consultato con Putin, e poi ha annunciato di aver fatto appello ai Paesi dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva - CSTO, un’alleanza militare che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizstan, Tajikistan e soprattutto la Russia - chiedendo assistenza per affrontare la «minaccia terroristica». In un secondo intervento televisivo, Tokajev ha attribuito l’assalto a edifici e infrastrutture a bande di terroristi addestrati all’estero.
La risposta all’appello è arrivata nella serata del 5 gennaio. La Russia e i paesi facenti parte della Csto invieranno una “forza di pace” in Kazakhstan. Lo ha annunciato su Facebook il presidente dell’alleanza, il premier armeno Nikol Pashinyan, spiegando che sarnno inviate “forze di pace collettive” per un “tempo limitato per stabilizzare e normalizzare la situazione nel Paese” causata da “interferenze esterne”.
Brutte notizie per Putin
Un invito a intervenire: ma in ogni caso, la rivolta kazaka è una pessima notizia per il presidente russo, che più di ogni altra cosa teme il contagio di sollevazioni in stile ucraino e bielorusso, soprattutto ora che, anche in Russia, l’inflazione ha superato l’8%, i prezzi dei generi alimentari continuano a crescere. In più, Putin si ritrova un nuovo focolaio di instabilità nell’“estero vicino” a distrarre l’attenzione proprio nel momento in cui è riuscito a intavolare negoziati con Stati Uniti e la Nato, in programma settimana prossima, sulla crisi ucraina.
Diversi giornali russi già vedono dietro i disordini di Almaty la mano di «potenze straniere» desiderose di destabilizzare il confronto tra Mosca e Washington, accusa definita «assolutamente falsa» da Jens Psaki, portavoce della Casa Bianca che ha invece lanciato un invito alla calma.
Quanto a Nazarbajev, spiega su Telegram la politologa russa Tatiana Stanovaja, Putin ha sempre considerato un errore l’idea di farsi da parte passando la mano a un successore: «Non ha mai pensato di seguire il modello di transizione kazako, ora dirà: “Avevo ragione!”. E non andrà da nessuna parte».
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