Il professionista e l’uomo

Stefano Carrer, il Giappone dentro: rigore, competenza e generosità

Erano belli i suoi pezzi, si facevano leggere, da cima a fondo, anche i più lunghi. È il miglior complimento che ci si possa fare, tra colleghi

di Pio D'Emilia

3' di lettura

Si dice che le persone le apprezzi, le “scopri” quando non ci sono più. Non è vero. Io Stefano l’ho stimato e apprezzato prima ancora di conoscerlo personalmente. Lo leggevo qui, su questo giornale, e lo invidiavo per la sua capacità di “raccontare”, rendendoli accessibili anche ai profani, anche temi complicati, da specialisti, come capita spesso a chi scrive di economia. E di Giappone, poi, un Paese che più lo conosci, meno lo capisci.

Mi occupo di Giappone, e più in generale di Asia Orientale, da oltre 40 anni e debbo dire che sono pochi i colleghi che ho seguito con più rispetto e attenzione. Sempre “sul pezzo”, preciso, capace di coniugare il rigore dei numeri con una scrittura agile, pulita, ma tutt’altro che arida. Erano belli i suoi pezzi, si facevano leggere, da cima a fondo, anche i più lunghi. È il miglior complimento che ci si possa fare, tra colleghi. Per anni, dopo che abbiamo cominciato a incrociarci in giro per l’Asia, per poi diventare amici inseparabili, ci mandavamo i nostri pezzi, prima di spedirli ai nostri rispettivi giornali. I suoi erano quasi sempre impeccabili, difficile che cogliessi qualche imprecisione. I miei invece tornavano indietro pieni di punti interrogativi: errori che non si limitava a segnalare, ma diligentemente correggeva. Non è da tutti, specie nel cuore della notte, perdere tempo per correggere il pezzo di un collega. E io ne approfittavo. Preferivo chiedere a lui, piuttosto che a Google. E le risposte arrivavano subito, precise, e abbondanti. «Ti segnalo anche questi dati – mi diceva – nel caso volessi allungare o approfondire».

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Era generoso Stefano. Una persona umile, e di animo gentile. Disponibile con tutti, sempre e comunque. Lo ricordo sempre pronto a dare una mano, anche nei momenti di maggior tensione e stanchezza fisica, come quando ci trovammo a “coprire” assieme la terribile tragedia dello tsunami e dell’incidente nucleare di Fukushima, nel marzo 2011. Un’esperienza che abbiamo vissuto assieme fin dal primo giorno, e che ha cementato la nostra amicizia. Avevamo ritmi pazzeschi, enormi difficoltà tecniche e logistiche, eppure era sempre lui l’ultimo ad andare a dormire, ad offrirsi di guidare il furgone con il quale ci muovevamo, ad aspettare che un lentissimo wi-fi terminasse l’invio dei nostri servizi. «Vai a riposarti dai, controllo io che vada tutto bene». Ma poi la mattina era quello che si alzava per primo e quando arrivavo io per il caffè lui aveva già pronto il programma della giornata.

Era lui la “mente”, quello che, grazie anche al prezioso lavoro di Keiko, la sua “storica” compagna che lo assisteva da “remoto”, come si dice oggi, cercava le storie, e il modo migliore per raccontarle. Ricordo che una volta non si presentò, a colazione. Eravamo a Kesenuma, nel Nord del Giappone, una delle città maggiormente colpite dallo tsunami. Mancava anche il furgone, e al telefonino non rispondeva. Cominciai a preoccuparmi. Arrivò all’ora di pranzo, visibilmente provato. Una collega della tv norvegese era rimasta bloccata dalla neve, a oltre 100 km, nel cuore della notte, e aveva bisogno di aiuto. Lui non ci aveva pensato due volte: era appena andato a riposare ma saltò sul furgone, per andare a recuperare la collega ed il suo cameraman. Grazie Stefano, grazie di esserci stato e di averci mostrato come si possa essere bravi, seri, ma anche generosi e simpatici. Domenica prossima, qui a Tokyo, saremo in molti a riunirci per ricordarti con tanto affetto.

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