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Stefano Siragusa: «Il nostro è il vero progetto Paese per Tim. Dietro di noi non c’è Vivendi»

Parla Stefano Siragusa, ideatore del piano TimValue con il fondo Merlyn, e candidato amministratore delegato di Telecom, che punta a fermare il piano sulla rete di Kkr

di Andrea Biondi

Stefano Siragusa (Imagoeconomica)

4' di lettura

«Il tema non è contare le azioni. Noi abbiamo quelle necessarie e avremo quelle che servono. Un’azione attivista è la massima espressione della democrazia sul mercato. La questione vera è coinvolgere più azionisti possibili su un progetto, in questo caso diverso da quello del management, e far scegliere a loro quale sia il percorso che vogliono per Tim. Quello attuale che prevede la vendita della rete che da 100 anni è degli italiani senza salvaguardare l’occupazione? Non credo. Anche Vivendi, e non parlo di un azionista qualsiasi, ma del primo socio, l’ha rigettato. Tutto questo non conta?». Stefano Siragusa, 47 anni, è una vecchia conoscenza in Tim. È uscito dalla società a dicembre 2022 da Deputy del Direttore Generale perché aveva una visione alternativa sul futuro dell’azienda. E ora, un anno dopo l’uscita, si dice pronto a far scegliere al mercato quale sia la visione giusta dell’azienda e tornare da ad in sostituzione di Pietro Labriola. Almeno questo è previsto nel piano con cui Merlyn Partners, fondo creato da Alessandro Barnaba, punta a fermare la vendita della rete a Kkr e a riscrivere una nuova storia fatta di una rete nazionale “unica” sotto Cdp, vendita della parte consumer e di Tim Brasil e mantenimento della quotazione per una nuova Telecom Italia con all’interno infrastruttura ed enterprise.

Venerdì scorso il fondo è uscito allo scoperto inviando una lettera di 36 pagine al Cda Tim. Immediata la levata di scudi lato Governo, con fonti che hanno duramente bollato la proposta come “sedicente”. «Il nostro è un piano solido. Lo presenteremo al mercato in assemblea. Lì ci conteremo e si vedrà che non c’è partita».

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Dietro di voi c’è Vivendi?

No. Abbiamo grande rispetto per loro e riteniamo che debbano avere un ruolo importante visto che hanno investito 4 miliardi. Pensare, come fanno alcuni, di aver già fatto tutto senza il coinvolgimento di un azionista di tale rilievo è semplicemente inconcepibile. Il nostro piano è inclusivo: tutti possono contribuire iniziando da Vivendi a Cdp, Kkr e Macquaire.

Qualsiasi sia la proposta, come si fa a pensare di poter procedere dopo un giudizio così tranchant del Governo?

Il nostro piano è allineato alla visione del Governo e a tutte le dichiarazioni ufficiali fatte. Non seguiamo le veline. Prima non c’erano opzioni per Tim. L’unico racconto era: o si vende la rete o l’azienda fallisce. È chiaro che senza alternative l’unica strada era la vendita della rete a Kkr. Il Governo è intervenuto. Ora, però, c’è una soluzione alternativa, concreta e, soprattutto industriale, che risponde alle esigenze del Paese e facilita la creazione della rete unica a guida Cdp, salvaguardando l’occupazione. Inoltre, come anche scritto dal vostro giornale, Tim ha ufficialmente dichiarato che Kkr avrà il controllo totale della rete e per questo non serve il parere del Comitato parti correlate. Ma, allora, perché chiedere al Paese il sacrificio di investire 2,2 miliardi se poi il management ha già deciso che il controllo non è del Paese? Comunque, c’è un altro punto chiave.

Quale?

Noi non ci fermeremo: siamo intenzionati a presentare al mercato la nostra visione. Ma vorremmo farlo contemporaneamente alla proposta di Kkr che non è ancora nota. Per questo, riteniamo che il Cda debba convocare l’assemblea per far scegliere agli azionisti quale futuro di Tim vogliano. Se il Cda decidesse diversamente, nel rispetto della legge, chiederemo noi di convocarla e allora presenteremo la nostra proposta al mercato. Il management dovrà fare lo stesso in merito alla proposta di Kkr. In assemblea ci conteremo.

Gli analisti sono però rimasti freddi e hanno espresso perplessità, considerando il piano Merlyn un’alternativa non concreta.

Le posso dire che avendo coinvolto molti investitori siamo sereni della bontà anche finanziaria e non solo industriale della nostra proposta.

L’obiezione è che il vostro piano si basi su presupposti tutti da verificare. Come la vendita di consumer e Tim Brasil. Con i tempi che stringono per tagliare il debito.

L’execution è chiave, ma il piano è chiaro. La rete non si vende e si preserva nella sua interezza inclusa Sparkle. Si accelera sul Pnrr. Si crea la rete unica a guida Cdp, ma senza spendere 2,2 miliardi. La consumer va venduta. La vogliamo snellire e, poi, valorizzeremo separatamente le sue anime per ottenere non meno di 9 miliardi. Il Brasile non è strategico. Ci aspettiamo non meno di 7 miliardi dalla vendita.

Perché questo timing però, così a ridosso di offerta Kkr? Sembra un’azione di disturbo.

Se avessimo scritto prima, ci avrebbero detto che dovevamo aspettare l’offerta di Kkr. Abbiamo aspettato, di proroga in proroga, che si arrivasse a un punto fermo sull’offerta Kkr che è arrivata, in ritardo, solo il 15 ottobre. Da azionisti, da italiani non conosciamo né il perimetro, né il razionale industriale. Vediamo che c’è solo tanta fretta. Quello che ci ha spinto a scrivere al Cda il 27 ottobre, solo 12 giorni dopo l’offerta di Kkr, è stata la valutazione della Corte dei Conti che per noi pone seri rilievi, paletti e dubbi, anche se non ostativi, all’offerta Kkr.

Che quota avete nell’azionariato di Tim? Ed è fatta in azioni o anche in derivati?

Abbiamo una quota sotto il 3% perché tanto ci permette la golden power. Siamo determinati a salire, se servisse, sopra il 5% per chiamare l’assemblea. Quanto alle azioni e ai derivati, contano i diritti di voto. La nostra posizione, ad ora, è tutta in equity.

La Consob ha acceso un faro sulla vicenda Tim.

La Consob farà le sue verifiche. Abbiamo fatto tutto nella massima trasparenza. Siamo qui per restare.

Ma non è che, alla fine, tutto sia una questione personale fra lei e Labriola?

Da parte mia no. Solo visioni opposte sul futuro di Tim. Certamente pongo una seria critica al piano attuale che, come si vede dal consensus degli analisti, non funziona. Il Brasile va bene, ottimo per noi che vogliamo venderlo. L’Italia, continua a bruciare cassa, 250 milioni a trimestre, con ricavi da servizi e market share in discesa. Tutto scende. Tutto peggiora. L’unica cosa che sale è il debito. Pure il Pnrr è in ritardo. I numeri dicono che serve un nuovo passo anche manageriale. Per questo chiediamo il confronto sui contenuti. Sembra che qualcuno voglia scappare da questo.

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