Stiglitz: «Italexit è l’ultima spiaggia, per l’Italia è meglio restare ma l’euro va riformato»
di Morya Longo
5' di lettura
«Uscire dall’euro avrebbe un costo. Certo. Per questo per l’Italia l’opzione migliore è restare nell’eurozona e riformarla dall’interno. Ma se non fosse possibile cambiare le regole e la struttura della moneta unica, il vostro Paese alla fine potrebbe non avere scelta. L’abbandono dell’euro è solo l’ultima spiaggia». Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 e professore alla Columbia University, ha sempre criticato l’euro. Ha anche scritto un libro, intitolato «L’euro» e sottotitolato «Come una moneta comune minaccia il futuro dell'Europa», per esprimere il suo pensiero. Per questo è sempre stato uno dei punti di riferimento per l’euroscetticismo. Anche in Italia.
Ma parlando con lui, analizzando i problemi e le possibili soluzioni, la sua posizione appare ben diversa da quella che l’immaginario collettivo dipinge: l’euro non funziona ma è possibile farlo funzionare – sostiene in estrema sintesi -, mentre l’ipotesi che un Paese come l’Italia abbandoni la moneta unica è solo l’ultima possibile di un ventaglio ben più ampio. Perché se l’euro ha creato problemi all’Italia, uscirne – ammette senza pensarci due volte – «avrebbe un costo». Il Sole 24 Ore l’ha incontrato a Parigi, a margine dell’Amundi World Investment Forum.
Professor Stiglitz, le strade ipotizzate per risollevare l’Italia sono solitamente tre: o si fanno riforme strutturali per ridare competitività al Paese, o si riforma l’Europa per ridurre le insostenibili asimmetrie tra i vari Paesi, oppure si esce dall’euro. Cosa ne pensa?
Le riforme strutturali sono necessarie. Ovviamente dipende da quali, ma lo sono. Però richiedono molto tempo e non risolvono i problemi nell’immediato. Anzi, possono anche pesare sulla crescita economica nel breve periodo. L’Italia ha fatto molte riforme, ma non hanno portato per ora grandi benefici tangibili dal punto di vista della crescita. Questa non è dunque la risposta per cambiare la situazione nel breve periodo. Ciò che andrebbe riformato strutturalmente, invece, è l’Eurozona. Se non si arriva a un minimo di condivisione dei rischi, l’Unione monetaria non può sopravvivere. La Germania deve capirlo. La domanda dunque è: c’è la volontà di far sopravvivere il progetto europeo?
Lei sa che il dibattito è proprio tra chi chiede maggiore condivisione dei rischi (i Paesi del Sud) e chi dice che prima di condividerli andrebbero ridotti (la Germania).
I Paesi del Sud hanno ragione. Non si possono ridurre i rischi se non vengono prima condivisi tra i vari Paesi. Per questo la prima riforma da completare è l’Unione bancaria con la garanzia unica sui depositi. Questa serve per evitare fughe di capitali dai Paesi deboli a quelli forti: se fosse fatta, i rischi nei Paesi deboli calerebbero di molto. Invece in Europa si segue la morale di Sant’Agostino: si dice che tutti saranno salvati dai peccati, ma non ora.
E poi quali altre riforme sarebbero necessarie per rendere l’Eurozona più equa?
Servirebbe un’assicurazione unica contro la disoccupazione: un meccanismo europeo che scatti quando il tasso di disoccupazione in un Paese supera certi livelli. Poi bisogna andare verso un bilancio comune: se ne parla, ma serve più coraggio. Poi servono risorse vere per sostenere i Paesi che finiscono in crisi e che non hanno più la possibilità di svalutare la moneta per risollevarsi. Inoltre va rafforzato il budget comunitario per gli investimenti in infrastrutture. Guardi la Cina: il Governo sta investendo molto per cambiare la geografia economica del Paese. L’Europa no: i Paesi vanno interconnessi maggiormente. Anche voi dovete cambiare la geografia economica.
Queste riforme sono complesse politicamente. Per questo tanti pensano che l’uscita dall’euro sia un’opzione preferibile. A prescindere dalla logica economica di medio termine, sulla quale c’è dibattito e le opinioni sono discordanti, a preoccupare sono innanzitutto le conseguenze immediate.
Per esempio?
Per esempio il rischio di default a catena. Tante aziende italiane, tanti Comuni e tante Regioni hanno emesso in questi anni obbligazioni sui mercati internazionali, sotto forma di Eurobond. Questi titoli non sono sottoposti a legge italiana, ma sono sotto la legge inglese. Il Tribunale competente è la Corte di Giustizia di Londra. Se noi tornassimo alla lira, questi bond resterebbero in euro (rendendo molto oneroso il rimborso) oppure se si cercasse di ridenominarli unilateralmente si rischierebbe di mandarli in default (come sostengono molti giuristi) oppure di creare quantomeno un contenzioso tra giurisdizioni. Scenari incerti e rischiosi insomma.
Certo, i Tribunali inglesi potrebbero non accettare la ridenominazione. L’Italia può fare una legge che ridenomini i debiti in lire ma le Corti di Londra potrebbero non riconoscerla. La risposta italiana potrebbe essere di riformare la legge fallimentare e favorire la ristrutturazione dei debiti di aziende ed Enti Locali.
In tal caso vari studi legali sostengono che si creerebbe un contenzioso internazionale, con il risultato che i beni all’estero delle aziende italiane potrebbero venire confiscati a tutela dei creditori.
Non credo che accadrebbe con l’Italia. E di certo non sarebbe un problema per gli Enti locali che non hanno beni all’estero.
Ma le aziende sì. E poi quanto tempo ci vorrebbe per vedere le nostre imprese tornare sui mercati, dopo un tale shock?
La Russia fece default e dopo due anni tornò sui mercati.
L’Argentina no.
L’Argentina non è tornata sui mercati perché non voleva farlo. E ha fatto bene. Anche perché ogni volta che l’ha fatto si è sovra-indebitata… Anche l’Italia potrebbe evitare i mercati per un po’, avendo un elevato tasso di risparmio delle famiglie.
Ma il risparmio va tutelato. Qui tocca poi l’altro grande rischio immediato: appena si capisse che Italexit fosse sul tavolo, i capitali fuggirebbero dall’Italia. Nessuno vuole che i risparmi vengano ridenominati in una valuta debole: meglio averli in valute forti.
Ha ragione, per questo dico che Italexit sarebbe un’opzione costosa. Per questo la migliore opzione per l’Italia sarebbe restare nell’Eurozona. Ma questa si deve riformare: altrimenti l’Italia rischia di restare stagnante o in recessione per altri 20 anni. Questo è il punto: ve lo potete permettere? La vita è fatta di scelte, a volte anche difficili. Qui bisogna mettere sulla bilancia i costi di restare e quelli di uscire. I problemi legali possono essere superati con riforme e intelligenti stratagemmi giuridici. Ci sono molti modi per proteggere gli asset. Voglio dire insomma che il rischio legale si può mitigare.
Più difficile mitigare il rischio di fuga di capitali. Tutti ricordiamo quanti soldi fuggirono dalla Grecia quando c’era la sola vaga ipotesi che uscisse dall’euro.
Se un Governo volesse abbandonare l’euro dovrebbe decidere in maniera veloce e tempestiva. E ovviamente servirebbero dei meccanismi di controllo dei capitali.
Per quanto tempo? Quanto ci vorrebbe per uscire dall’euro, dato che i trattati non prevedono neppure una procedura?
Il cambio di valuta va fatto molto velocemente. Poi per cambiare il contesto normativo multilaterale servirà molto tempo, ovvio, ma qui stiamo parlando di una decisione unilaterale.
Non crede che questo aumenterebbe le diseguaglianze sociali, su cui lei combatte da una vita? In fondo i ricchi sono i primi ad avere strumenti, consulenti e capacità per mettere i capitali al riparo su valute forti, per cui a pagarne le spese sarebbero soprattutto i meno abbienti.
Questo già accade oggi. E questo è il vero problema. Per questo ripeto che bisognerebbe agire in fretta: altrimenti i ricchi scapperebbero tutti. Ma ribadisco: l’uscita dall’euro di un Paese è solo l’ultima spiaggia. Se però la riforma dell’Eurozona dovesse fallire e i Paesi deboli continuassero a soffrire un’emorragia di capitali a favore di quelli più forti, allora si potrebbe arrivare a un punto in cui non c’è più scelta. Comunque ci sarebbe anche un’ulteriore opzione, una sorta di via di mezzo.
Quale?
Potrebbe essere la Germania ad uscire dall’euro. Oppure potrebbe essere sempre la Germania a fare qualcosa per riequilibrare l’Europa. Per esempio dovrebbe alzare i salari dei lavoratori tedeschi e incrementare la spesa.
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