Stipendi, perché crescono poco in Europa e ancora meno in Italia
di Alberto Magnani
3' di lettura
In un’analisi sullo sviluppo degli stipendi in Europa nel 2017, la Commissione ha registrato il «modesto» ritmo di crescita delle retribuzioni nel Vecchio Continente. L’Italia riesce a smarcarsi, ma in negativo: per limitarsi al settore privato, l’aumento degli stipendi nel secondo trimestre 2018 si è bloccato a meno della metà di quelli registrati su scala Ue e in un paese come la Germania. Il trend emerge scorrendo i dati Eurostat su stipendi e salari (wages and salaries) nei principali mercati europei dal 2012. Solo nel periodo aprile-giugno dell’anno in corso, nelle imprese private, le retribuzioni italiane sono aumentate dell’1,6% contro il 2,3% della Ue e il 2,5% della Germania.
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La manifattura sembra aver fatto meglio (+2,1%, contro il +2% della Ue e il 2,4% della Germania), ma basta riavvolgere il nastro su tutto il 2017 per leggere numeri di tutt’altro tono: l’ultimo trimestre dell’anno scorso si è chiuso addirittura in negativo (-1,7%), contro il +1,8% delle retribuzioni in Europa e il 2,2% della Germania. L’Ue resta al di sotto delle attese, se si considera che per l’intero 2017 ha dovuto “festeggiare” con un rialzo di solo il 2,4 per cento. Ma l’Italia, tanto per restare sul paragone, ha anche meno motivi di entusiasmo: +,04%, l’equivalente di un sesto.
Perché gli stipendi annaspano soprattutto da noi
Su scala europea, scrive la Commissione, si è verificato un curioso appiattimento della curva di Philips (una teoria macroeconomica che mette in rapporto disoccupazione e salari: se scende la prima, salgono i secondi). Cosa è successo, e sta succedendo nel Vecchio Continente? La disoccupazione è calata su livelli simili al periodo pre-crisi, ma gli stipendi non si sono irrobustiti con un ritmo adeguato. La causa è da ricercare in un mix di fattori come produttività a rilento, prospettive deboli di inflazione e lavoratori tagliati fuori dal mercato. L’Italia si è spinta oltre, nel senso che è riuscita a fallire su entrambi i fronti: la disoccupazione resta elevata e, appunto, gli stipendi aumentano a un passo più incerto rispetto alla media continentale. Su base 100, rispetto al 2012, le retribuzioni italiane sono cresciute in Italia a un valore di 104,7 nella business economy contro il 110,2 dell’Eurozona e il 113,8% della Germania.
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Un divario simile a quello nella manifattura, dove l’Italia è cresciuta da 100 a 104,4 contro il 111,3 dell’Eurozona e il 114,4 della Germania. Perché tanto ritardo, rispetto a un’Europa già acciaccata? La ragione è quasi prevedibile: la disoccupazione. Se non crescono gli occupati, non può crescere il livello delle retribuzioni offerte sulla piazza. «Il primo problema è sempre la disoccupazione: se non aggiusti quella i numeri restano negativi - spiega Ilaria Maselli, senior economist a The Conference Board -Per il resto l’Italia vive in maniera più acuta gli stessi problemi dell’Europa, cioè produttività stagnante e bassa crescita di prezzi».
La forbice può allargarsi ancora
Il caso della produttività, ovvero quanto si produce con determinati input, è il più facile da osservare. L’Europa può lamentarsi di un indicatore che cresce poco, ma migliora. L’Italia “vanta” un tasso rimasto quasi identico dal 2010 ad oggi. Fatta una base 100, secondo dati Ocse, il Pil per ora lavorata nell’Eurozona è cresciuto a un valore di 105,7 nel 2016. Due paesi come la Germania e la Francia viaggiano su medie superiori o simili, arrivando l’anno scorso a 107,6 la prima (Germania) e 105,3 la seconda (la Francia). L’Italia ha raggiunto, in un periodo analogo, una crescita che si conta nell’arco dei decimali: 100,7, l’equivalente dello 0,7 in più. Se poi si aggiungono i dati sulla crescita a singhiozzo del paese, fra il tira e molla di previsioni sull’andamento del Pil, ci sono tutti i presupposti per temere che le distanze dall’Europa si allunghino ancora. Maselli evita pronostici sul breve termine, ma lo scenario di un gap (ancora) più ampio fra Italia ed Europa sembra tutt’altro che remoto. «Se si allargherà la forbice? Non è facile prevederlo - dice - però l’Italia ha sicuramente problemi strutturali. E non sono pochi».
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