Stop alla «giustizia fai da te» dei genitori contro gli insegnanti
Il padre era stato assolto per legittima difesa dopo aver aggredito verbalmente l’insegnante colpevole di aver rimproverato il figlio facendolo piangere
di Patrizia Maciocchi
2' di lettura
Il genitore che aggredisce verbalmente la professoressa colpevole di aver rimproverato il figlio facendolo piangere, non può essere assolto per legittima difesa. Specialmente se la sua reazione non avviene “a caldo” ma, come nel caso esaminato, tre giorni dopo. Eppure all’uomo, che chiedeva di accertare a carico della docente il reato di abuso di mezzi di correzione, i giudici di merito avevano dato ragione. Sia in primo grado sia in appello, l’aggressione verbale era stata considerata una legittima difesa, senza alcun diritto della prof ad essere risarcita per tutti gli improperi ricevuti all’uscita dalle lezioni. Offese sul piano professionale e personale “scriminate” a causa del comportamento dell’insegnante, alla quale il genitore aveva a sua volta chiesto un risarcimento per i danni patrimoniali e morali.
Giustificata la reazione alla vista del figlio in lacrime
Per il Tribunale il «comportamento nervoso e concitato» dell’uomo si poteva giustificare perché aveva visto «il proprio figlio piangere e prostrato per i rimproveri rivoltigli dall'insegnante». Le offese erano state pronunciate «per tutelare il figlio minore dal pericolo che le condotte lesive della sua dignità potessero essere reiterate, con possibile, ulteriore, lesione del suo onore». Inoltre, i giudici avevano escluso ogni tipo di responsabilità del padre «a titolo di provocazione, non essendo in ogni caso punibile la condotta di chi reagisce al fatto illecito altrui in applicazione dell’articolo 2046 del Codice civile». Confermato anche il reato di abuso di mezzi di correzione con condanna della prof a risarcire i danni. Verdetti che la Cassazione ribalta.
Non c’è legittima difesa “a freddo”
Non c’era legittima difesa né reazione ad un fatto ingiusto, che risaliva comunque a tre giorni prima delle scontro verbale. Per la Suprema corte l’uomo «si era coscientemente e consapevolmente determinato a recarsi appositamente presso l’istituto scolastico al deliberato fine di insolentire l’insegnante, in attuazione di una forma comportamentale qualificabile non certo in termini “di legittima difesa” - come ritenuto dal giudice di merito in spregio ai più elementari principi posti a fondamento dell’esimente in parola – bensì caratterizzata inequivocamente da una sorta di inammissibile ricorso ad un inammissibile modello di “giustizia fai da te”, come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d’oggi tra genitori ed insegnanti».
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