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L’aumento dei prezzi? Non è un fenomeno solo italiano. Lo sa bene Granarolo, colosso lattiero-caseario da 1,28 miliardi di euro e stabilimenti produttivi anche in Francia, Germania, Gran Bretagna e Brasile. «In Francia i rincari su prodotti di larghissimo consumo come l’Emmental, il Gouda o la mozzarella da taglio raggiungono già il 40-50%, e tutti i produttori europei stanno già riversando l’aumento dei costi sui listini», racconta Filippo Marchi, direttore generale di Granarolo. In alcuni Paesi l’impatto degli aumenti energetici è inferiore rispetto all’Italia ma il caro-materie prime, dal costo del latte a quello della carta e della plastica, si fa sentire dappertutto. «Gestire l’aumento dei costi solo attraverso le ottimizzazioni dei processi di produzione interni ormai è impossbile - ammette Marchi - una parte degli aumenti deve necessariamente essere scaricata a valle, sui prezzi ai consumatori. Noi abbiamo fatto aumenti di listino già prima di gennaio».
Granarolo insomma si unisce al coro degli imprenditori alimentari convinti che così non si possa andare avanti, e che si finirà col produrre in perdita. Per dimostrarlo, Marchi indica un dato, su tutti: nel bilancio Granarolo ormai i costi sono uguali al margine Ebitda. «Nel budget per il 2022 - racconta - abbiamo ipotizzato un’inflazione derivata da elettricità e gas pari al 60% del costo complessivo della bolletta energetica. Un tesoretto anti caro-energia, insomma. Ma la situazione si è già aggravata, e quello che avevamo previsto già non basta». Per Granarolo, l’aumento dei costi più dirompente è dunque quello dell’energia: «Un anno e mezzo fa - racconta Marchi - ci siamo coperti con un contratto a prezzo fisso che garantisce il 50% dei nostri consumi per tutto il 2022. Ma una fetta consistente del nostro fabbisogno è rimasta fuori, e negli ultimi sei mesi non abbiamo trovato nessuno disponibile ad applicare questo tipo di formula». Così, Granarolo è costretta a fare contratti di mese in mese: «Eravamo abituati a spendere 24 euro/MWh, le offerte per il mese prossimo si aggirano tra 70 e 75. Senza dimenticare che sotto Natale le quotazioni sono arrivate a superare i 160 euro/MWh. Ci disorienta essere in mano a situazioni non gestite dal governo. Al momento non c’è un decreto che dice che tra un mese da 70 euro torneremo a pagarne 50. L’incertezza è alta».
Per l’Italia il dossier energetico è particolarmente critico, ma non è l’unica fonte di costi che mette in difficoltà i produttori alimentari. «L’inflazione sulle materie prime va dal 18 al 25% - dice Marchi - a cominciare dal prezzo del latte: poiché la produzione mondiale è in calo, il suo prezzo è aumentati del 20-25% in Europa. In Italia, per fortuna, l’aumento è stato inferiore e il latte ora è quotato intorno ai 45 euro al quintale». Come è possibile allora che gli allevatori abbiano richiesto un tavolo urgente del latte che garantisse loro una remunerazione di almeno 41 centesimi al litro? «Chi oggi ha un contratto di fornitura di latte di lungo periodo lo paga già tra i 41 e i 42 centesimi al litro - spiega Marchi - poi c’è una quotazione settimanale spot del latte a 45 centesimi, infine ci sono produttori che fanno accordi spot limitativi, al di sotto della media. Il tavolo del latte è fondamentale perché ci sono alcuni imprenditori che pagano meno e così fanno concorrenza sul prezzo, anche a noi della Granarolo. Ma se andiamo avanti così, con gli aumenti dei costi delle materie prime, agli allevatori non basteranno neanche i 41 centesimi raggiunti con l’accordo».
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