Strategie intelligenti per un robot quadrupede in cerca di equilibrio
Un neoingegnere del Politecnico di Torino ha studiato la locomozione di HyQ dell’Istituto italiano di tecnologia per valutarne la dinamica
di Riccardo Oldani
3' di lettura
Luca Clemente, neoingegnere laureatosi al Politecnico di Torino, ha inviato alla giuria del Premio Italiano Meccatronica uno studio sulla locomozione di robot quadrupedi. Molti avranno in mente Spot, il robot a quattro zampe dell'americana Boston Dynamics, di cui si trovano molti video su YouTube.
Ma anche l'Istituto Italiano di Tecnologia ne ha sviluppato uno simile, HyQ, nel suo laboratorio Dynamic Legged Systems, dove Clemente ha studiato diversi mesi, proprio durante il periodo peggiore della pandemia, quindi anche con qualche difficoltà logistica e organizzativa.
Dopo la laurea, conseguita lo scorso marzo, Clemente ha poi proseguito per sei mesi il lavoro. «I robot quadrupedi - spiega - sono progettati per spostarsi su terreni accidentati, per sostituire l'uomo in situazioni rischiose e in scenari instabili, per esempio dopo un terremoto o un crollo, ma eventualmente anche nelle esplorazioni spaziali. In situazioni di questo tipo è molto più conveniente utilizzare macchine in luogo delle persone».
HyQ, in particolare, presenta notevoli difficoltà nei controlli proprio per la sua configurazione quadrupede. «Ogni volta che solleva una zampa, infatti, ha un punto di appoggio in meno e deve redistribuire le forze per darsi un assetto stabile».
HyQ inizialmente si muoveva grazie a un algoritmo di selezione dei punti di appoggio dei piedi considerando la morfologia del terreno, come la presenza di scalini, rocce. «Il robot, quindi, valutava dal punto di vista geometrico se un punto d'appoggio era ideale sulla base della possibilità di raggiungerlo estendendo una zampa o della eventuale vicinanza con bordi, ostacoli o dislivelli».
Il lavoro innovativo condotto dal ricercatore insieme con il team dell'IIT è consistito nello sviluppo di un algoritmo che «non solo considera la posizione del piede nello spazio, ma aggiunge anche una parte dinamica di valutazione di forze, accelerazioni e stabilità nel tempo. Nei controlli di solito si stabilisce un orizzonte del tempo, cioè un intervallo di tempo futuro nel quale il robot viene matematicamente simulato. Viene cioè fatta una predizione del movimento del robot nel futuro all'interno della quale si considerano le tipologie di controllo da adottare».
La difficoltà di applicare questa strategia ai robot quadrupedi risiede nel grande numero di modelli dinamici che vanno valutati per simulare in modo corretto le configurazioni, continuamente mutevoli, che vengono a verificarsi ogni volta che la macchina solleva una zampa, modificando continuamente il centro di massa del corpo. In questo contesto è assai complesso riuscire a prevedere le accelerazioni a cui il robot andrà incontro o le forze che sarà in grado di esercitare, per cui il lavoro ha richiesto un notevole sforzo anche dal punto di vista concettuale.
La ricerca è interessante perché si inserisce in un trend che sempre di più vede l'impiego di sistemi di simulazione, basati anche sull'intelligenza artificiale, per prevedere in astratto il comportamento dei robot, e programmarli di conseguenza, per poi trasferire le conoscenze acquisite in modo virtuale e il codice sviluppato sulla macchina fisica. Una convergenza, insomma, tra due discipline estremamente attuali come robotica e intelligenza artificiale.
Una delle conseguenze di questo tipo di approccio, applicato in particolare a robot come HyQ, con una struttura copiata da quella degli esseri viventi, è che consente di adottare per queste macchine un sistema di locomozione simile a quello degli animali nella realtà. Mammiferi come i cani o i cavalli, ma anche noi stessi umani, non si limitano a muoversi passo dopo passo in modo meccanico nell'ambiente, ma programmano il loro percorso, esaminando rapidamente lo scenario circostante, con la capacità di prevedere eventuali punti critici o pericoli.
Il lavoro di Clemente e degli altri componenti del team di ricerca di IIT esplora quindi questa strada e, ci ha raccontato il ricercatore, «pur essendo certamente migliorabile, ci ha consentito di ottenere risultati molto interessanti».
La complessità di questo approccio sta soprattutto nel fatto che le simulazioni non riescono a tenere conto per intero della complessità del mondo reale. Una volta trasferite ai robot, spiega Clemente, «mostrano di non essere modelli totalmente completi, perché è impossibile simulare in modo virtuale ogni singolo atomo della realtà. Inoltre c'è la necessità di sistemi da adottare sui robot in grado di fornire rispose immediate, e che quindi non richiedano tempi di calcolo troppo lunghi».
Al momento quindi, soprattutto nel mondo dei robot autonomi, il connubio tra simulazione virtuale e azione nel mondo fisico richiede ulteriore lavoro e approfondimenti. Ma nelle realtà produttive, più semplici da simulare perché più controllate, vediamo già le prime applicazioni concrete di questo principio, con l'avvento dei gemelli digitali, sempre più utilizzati dai produttori di macchine e di automazione e nel mondo meccatronico.
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